Un solo giorno ci separa dalle “elezioni più importanti del 2023”, così come le ha definite il “The Economist” dedicando loro una recente copertina: domani i cittadini turchi voteranno per rinnovare il parlamento ed eleggere il nuovo presidente della repubblica.
Abbiamo già raccontato di come, nelle scorse settimane, i toni nei comizi del partito di Erdoğan (AKP o AK Parti) si fossero surriscaldati. Se da un lato l’opposizione guidata dal candidato Kemal Kılıçdaroğlu continua a sottolineare il suo impegno per riconciliare (helalleşmek) la società turca, dall’altro la strategia anche comunicativa dell’Alleanza Popolare (Cumhur İttifakı) al governo è chiara e già ben rodata: sfruttare le divisioni sociali e la polarizzazione, enfatizzandole per compattare il proprio elettorato conservatore e nazionalista che finora ha garantito a Erdoğan le inappellabili vittorie elettorali del 2014 e 2018.
Il pericolo più grande per il governo è che, a causa del malcontento legato al continuo peggioramento delle condizioni economiche e alla lacunosa gestione del devastante terremoto di febbraio, la compattezza di questa base elettorale si perda, e parte dei suoi voti si disperdano verso i partiti che – seppur all’opposizione – presentano a loro volta programmi conservatori e nazionalisti e non sono imputabili delle inefficienze e della crisi. Per evitare ciò, l’Alleanza Popolare ormai da anni affronta i traumi e le divisioni sociali in chiave securitaria, descrivendole come minacce poste dell’opposizione all’unità e alla sicurezza nazionale, dalle quali l’unico credibile protettore sarebbe il presidente Erdoğan. L’obiettivo è scatenare il più classico degli effetti di “rally around the flag”, secondo il quale, di fronte a una minaccia esistenziale (così com’è presentata dal governo), il comportamento di massa più istintivo e immediato è quello di compattarsi intorno alla figura che offre sicurezza/sopravvivenza.
“l’uomo giusto al momento giusto”
È anche per le ragioni sopra elencate che uno dei pilastri della campagna elettorale del governo è quello dell’industria bellica turca. O che il festival della tecnologia e dell’aerospazio “Teknofest”, svolto in genere dopo l’estate, quest’anno sia stato anticipato a fine aprile – in piena campagna elettorale – e vi siano stati presentati i nuovi droni da combattimento di produzione turca. E non è un caso che il presidente turco Erdoğan abbia cambiato la sua immagine del profilo sui social: da una rassicurante foto contornata da un’aura bianca su un sereno sfondo azzurro, a un’altra in cui indossa degli occhiali da sole e una giacca da aviatore mentre avanza con aria decisa verso l’obiettivo.
Questi e molti altri esempi tratti da questa campagna elettorale mirano a confermare gli attributi di forza, risolutezza, carisma del presidente turco. Eppure tutto ciò, in una condizione in cui le paure più grandi per i cittadini turchi derivano dalle incertezze sul futuro e sul proprio benessere economico, potrebbe non essere sufficiente.
Da un lato è pur vero che il governo di Erdoğan sta fornendo delle risposte a queste preoccupazioni degli elettori sfruttando il proprio controllo sulle risorse statali: le ultime in ordine cronologico sono l’azzeramento delle bollette del gas per un mese e dei primi 25 m3 di consumi mensili per il prossimo anno, e l’aumento del 45% degli stipendi di tutti i dipendenti pubblici.
Dall’altro, il governo è cosciente che anche questo potrebbe non essere sufficiente ad arginare il flusso di voti in uscita, e che sia necessario insistere sulla strategia securitaria.
Così, il ministro dell’interno Süleyman Soylu ha equiparato i tentativi dell’opposizione di vincere le elezioni a un “colpo di stato politico”. O ancora, soprattutto negli ultimi giorni, in cui Kılıçdaroğlu ha ricevuto il sostegno esplicito del partito filocurdo di sinistra HDP e ha promesso la liberazione degli oppositori politici, giornalisti, attivisti incarcerati, nei comizi del governo si accusa l’Alleanza della Nazione (Millet İttifakı) di sostenere il terrorismo del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, PKK. Addirittura, dal palco dell’AK Parti del 7 maggio a Istanbul, Erdoğan ha mostrato e commentato un video falso, creato ad hoc con l’intelligenza artificiale, in cui i leader del PKK dichiarano il proprio sostegno a Kılıçdaroğlu.
L’implicazione di questo tipo di discorsi è chiara: il governo sostiene che un voto all’opposizione avvicinerebbe al potere le forze che mirano a disintegrare e gettare nel caos la Turchia. Ne consegue che, in questa logica, la scala delle priorità anche degli elettori più insoddisfatti dalla gestione Erdoğan dovrebbe essere rivista, e costoro dovrebbero votare ancora una volta per “l’uomo giusto al momento giusto” – così come recita uno slogan dell’AKP (Doğru zaman, doğru adam).
La violenza del nazionalismo
Naturalmente, gli effetti di una simile retorica non si limitano a riflettersi all’interno delle urne. Nonostante l’opposizione punti a evitare di farsi trascinare in queste provocazioni, respinga con fermezza le accuse di sostegno al terrorismo, e insista sulla riconciliazione delle fratture e dei conflitti sociali, alcuni eventi recenti mostrano le conseguenze del tentativo del governo di inquinare e polarizzare il dibattito politico.
Al di là della tensione crescente che si unisce alla naturale elettricità data dall’avvicinarsi di un’elezione così importante, queste conseguenze si sono manifestate in maniera chiara nella giornata del 7 maggio a Erzurum. In questa cittadina dell’Anatolia Orientale era in programma per il tardo pomeriggio un raduno elettorale del candidato vicepresidente dell’opposizione e attuale sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu (CHP).
Ancora all’ora di pranzo, la piazza era completamente occupata da autobus e mezzi della municipalità di Erzurum, in mano all’AKP. Nonostante le premesse non incoraggianti, alla fine la piazza è stata sgomberata, lasciando spazio ai sostenitori di İmamoğlu. Tuttavia, durante il comizio, un gruppo organizzato di circa 200 contestatori ultranazionalisti si è radunato a lato della piazza e, nella totale inazione delle forze dell’ordine, ha bersagliato l’autobus dal quale parlava İmamoğlu con una sassaiola. In un primo momento, İmamoğlu ha invitato i propri sostenitori a non reagire alla provocazione:
«Lasciateli perdere (gli aggressori), si pentiranno di quello che hanno fatto! Su di noi piovano parole di amore, pace, tranquillità, abbondanza, e fertilità […] State tranquilli, e non rispondete a queste provocazioni!»
Tuttavia, di fronte al proseguire del lancio di sassi (che ha provocato 15 feriti non gravi tra gli astanti), quando uno di questi ha colpito uno dei membri della sicurezza che faceva scudo a İmamoğlu per consentirgli di parlare, per tutelare la propria incolumità e quella dei suoi sostenitori, quest’ultimo è stato costretto a interrompere il raduno. İmamoğlu ha però deciso, imponendosi sulla propria security, di non abbandonare immediatamente la città, e ha dichiarato in un video:
«Resteremo qui finché non garantiremo la sicurezza dei cittadini. Non andremo da nessuna parte. Avete colpito delle donne in testa, avete provocato delle persone che sventolavano bandiere turche, in nome del cosiddetto nazionalismo».
Questo grave episodio, che ha creato un’accesa discussione in Turchia ed è considerato da molti osservatori un momento chiave dell’intera campagna elettorale, ha consentito all’opposizione di fornire un’altra risposta coerente con la propria strategia di riconciliazione, dialogo, e cambiamento.
Come visto, mentre veniva bersagliato dalla sassaiola, İmamoğlu si è preoccupato di trasmettere tranquillità, coraggio, e serenità, oltre che di condannare fermamente i responsabili. Al suo ritorno a Istanbul a notte fonda è stato accolto al grido di “andrà tutto bene” (lo slogan con cui vinse le elezioni del 2019 a Istanbul: Her şey çok güzel olacak) da parte di una folla radunatasi di fronte all’aeroporto nonostante l’ora tarda.
In questa occasione l’opposizione ha potuto fornire una dimostrazione di sangue freddo, coraggio, e coerenza con i valori che ha finora fatto propri, sperando di aver così convinto i tanti indecisi che, come detto, la coalizione di Erdoğan mira a conquistare con una strategia opposta.
L’appello in tal senso è arrivato dal candidato presidenziale Kemal Kılıçdaroğlu che, commentando gli eventi di Erzurum, ha lanciato un messaggio agli elettori che ben sintetizza quanto detto finora a proposito della strategia dell’opposizione:
«La Turchia è il paese della maggioranza ragionevole, e la maggioranza porrà fine a questo male. Miei cari cittadini, concentratevi sul 14 maggio! Non siate arrabbiati, non siate offesi. Amate la vostra gente, stringetevi intorno al vostro amore. Guarisci presto, figlio mio Ekrem [İmamoğlu]. Portare il cambiamento nel Paese ha un prezzo e siamo tutti pronti a pagarlo”.