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MA CHE È ‘STA POP-FILOSOFIA?

27 Aprile 2022

Uno spettro si aggira per l’Italia: lo spettro della Pop-filosofia!

Oggi occorre (ri)aprire un dibattito che, invero, scalda gli animi degli interessati da diverso tempo. Sarà capitato a molti -specialmente a chi studia o si interessa di filosofia- di vedere sugli scaffali delle librerie “I Simpson e la filosofia”, oppure vedere un video che spiega la profonda filosofia di Inception, di Topolino o di Tarantino. Insomma, vi sarà capitato di fare la conoscenza di madama Pop-filosofia e domandarvi: ma che roba è?

Onestamente è molto poco chiaro (per non dire che è volutamente molto oscuro) e le ricerche di chi scrive oggi hanno portato a scarsissimi risultati. Nessun dubbio è stato fugato e il livello di incazzatura è consequenzialmente salito. Ma andiamo con ordine: cos’è la Pop-Filosofia?

Storicamente, il termine venne coniato da Gilles Deleuze negli anni settanta e starebbe a indicare il sogno del filosofo francese di scrivere un libro filosofico non-specializzato che si potesse diffondere nelle masse proprio come la musica pop nata in quegli stessi anni. All’alba del nuovo millennio e, soprattutto, con la diffusione di internet, la filosofia pop ha iniziato a guardare ai social, a mettere su festival e, in un qualche modo, ad assumere un linguaggio e un modo di fare quasi iniziatico che finisce per rigettare l’intento inziale di Deleuze (ma su questo torneremo probabilmente in un altro articolo).

Il tragicomico, tuttavia, si presenta nel momento in cui si cerca una definizione di cosa diamine sia questa benedetta pop-filosofia. Non è nemmeno chiaro se Pop-filosofia, filosofia pop e filosofia del pop siano tutte e tre la stessa cosa!

Solitamente i filosofi cosiddetti pop iniziano chiarendo che non esiste una e una sola definizione di Pop-filosofia e continuano nella maggior parte dei casi sfoggiando un citazionismo morboso volto a depistare pubblico e intervistatore. Nascono così scene definibili propriamente cringe in cui il Pop-filosofo di turno sostiene che la filosofia debba interpretare il mondo in chiave pop (sic!); oppure che bisogna fare con la filosofia ciò che Andy Warhol fece con la Pop-Art; e ancora, fare la stessa cosa che fa Tarantino con i B-Movies. Frasi vuote che, lungi dall’essere anche solo minimamente comparabili con una definizione che sia tale, servono a scaricare l’onere del contenuto teorico (assente) sulle opere citate.

La citazione è uno strumento davvero utile ma, se vogliamo, pericoloso. Una citazione ha essenzialmente due scopi possibili: l’autorità e l’autorevolezza. La prima è molto facile da ottenere; basta infatti che il nome di un autore fondamentale e famoso (ad esempio l’abusatissimo Nietzsche) venga riportato nel discorso per fare in modo che la fallacia ab auctoritate permetta la riuscita di una bellissima figura dinanzi all’ascoltatore poco attento. L’autorevolezza della citazione, invece, richiede uno sforzo maggiore, eppure banale: ossia che la citazione sia contestualizzata nel discorso dove viene inserita, che c’entri e rafforzi le proprie idee sulla base della solida architettura concettuale e argomentativa che ha sotto di sé. Uno sforzo che i Pop-filosofi -stando alle interviste rilasciate online- hanno il vizio di risparmiarsi.

Ma tutti questi problemi sono invero conseguenze dirette di un enorme vuoto che sta al centro del concetto stesso di Pop-filosofia (sempre nella modesta opinione di chi scrive e ancora non riesce a capire cosa diamine significhi tale espressione). Prima di arrivarci, però, un salto indietro.

Cos’è la filosofia?

Se la Pop-filosofia si propone di essere una branca della filosofia, e cosa sia “Pop” è relativamente facile da capire, allora il problema della mancata definizione segue necessariamente da un’incomprensione di cosa sia la filosofia.

Spiegare cosa s’intende per filosofia è senza dubbio la domanda da un milione di dollari e, spoiler, non proverò oggi a vincere tale milione. Tuttavia si può evitare la domanda -probabilmente insolubile- e concentrarsi su un aspetto molto più interessante e rilevante: l’ambito di ricerca. Chiunque studi o lavori con la filosofia sa di avere una certa concezione di essa che differisce di molto da quella che hanno altri colleghi e che, tuttavia, mantiene un accordo molto importante su alcuni aspetti di base: rigore metodologico, lessico tecnico, argomentazione logica e il più formale possibile. Tutti punti importanti anche se generici.

Eppure, quello su cui vorrei concentrarmi è quel tacito consenso sull’importanza del non accontentarsi al porre domande e, invece, cercare delle risposte a quei problemi che vengono rilevati all’interno di un determinato ambito di ricerca. Ecco, la filosofia -quella seria- nelle sue molteplici facce resta fedele a quell’idea per cui i problemi vanno individuati e risolti all’interno di uno specifico ambito di ricerca (al lettore interessato ad un approfondimento su cosa sia una domanda e una risposta filosofica si consiglia “Pensare l’infosfera”, L. Floridi).

Gli ambiti di ricerca possono essere confusi, è chiaro che domande di filosofia della scienza possano chiamare in causa la bioetica, e questo è solo uno dei possibili esempi. Allo stesso modo è evidente che i confini tra i diversi ambiti sono puramente strumentali e convenzionali; il Sapere è uno, lo frammentiamo in discipline diverse per comodità di lessico, metodo e così via.

Il problema della Pop-filosofia è l’evidente mancanza di una riflessione sull’ambito di ricerca che sfocia direttamente in una disciplina non definibile e poco chiara. Non si sa quale sia l’ambito di ricerca della filosofia pop ma, anche volendo ammettere che quest’ultimo coincida con il Pop stesso, non è assolutamente chiaro quali siano le tipologie di problemi che la filosofia pop vorrebbe risolvere. Questo equivoco è precisamente il punto di tutte le discussioni che si scatenano di tanto in tanto sulla “pop-philosophie”.

Breve parentesi chiarificatrice. Qui si accusa la Pop-filosofia di non sapersi definire dopo aver sostenuto che la filosofia stessa è indefinibile e, in qualche modo, va bene così. Il punto è che, mentre la definizione di filosofia rimane una simpatica tipologia di masturbazione intellettuale per filosofi, le branche della filosofia sono paradossalmente molto più facili da definire (proprio grazie all’approccio dell’ambito di ricerca). È molto più chiaro cosa siano la filosofia della scienza, l’estetica, l’etica etc. rispetto a cosa sia la Filosofia –con la F maiuscola– e, tuttavia, la filosofia pop rimane altrettanto sconosciuta.

Vi sarebbe molto altro da dire su come spesso la Pop-filosofia finisca per essere una sottospecie di divulgazione malfatta, oppure su come essa sia diventata in alcuni suoi aspetti un pastone pseudo-culturale che cerca di insegnare a vivere la vita e a risolvere le crisi esistenziali. Tuttavia questi problemi per essere discussi avrebbero bisogno di una qualche chiarificazione su cosa dovrebbe essere la Pop-filosofia fatta per bene. Chi scrive, come già ripetuto svariate volte, non riesce proprio a capirlo. La colpa è certamente della sua chiusura mentale, ecco perché invita chiunque lo voglia a rispondere nei commenti oppure a scrivere un articolo di replica per fugare i suoi dubbi.

“La filosofia è un po’ come un computer con una perdita di memoria. Inizia bene, trattando questioni significative e importanti, che interessano a tutti. Poi, con il tempo, il suo percorso di successo rallenta. La filosofia inizia a occuparsi più delle questioni dei filosofi che delle questioni filosofiche, dissipando una dose crescente di attenzione intellettuale per parlare di se stessa con se stessa.” (“Pensare l’infosfera”, L. Floridi)

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  1. Bellissime e argute argomentazioni. Sembrano scritte per certi “filosofi del pop” che imperversano fra lo stupore generale, con terminologie desuete e astruse.

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