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Fonte: Kremlin.ru

La guerra in Ucraina mette alla prova la partnership Russia-Cina

26 Aprile 2022

La guerra in Ucraina ha messo in luce un atteggiamento ambiguo della Cina, schiacciata dall’obbligo di non isolare il ‘quasi’ alleato russo e non compromettere ulteriormente le già tese relazioni politiche ed economiche con gli Stati Uniti e l’Occidente. La guerra in Ucraina sarà un difficile test per dimostrare la solidità della partnership sino-russa.

Dichiarazione Congiunta del 4 febbraio

Non è trascorso molto tempo dallo scorso 4 febbraio. In quella data, alla vigilia delle Olimpiadi invernali di Pechino, si è tenuto un atteso vertice tra Vladimir Putin e Xi Jinping, rispettivamente presidenti della Federazione Russa e della Repubblica Popolare Cinese, culminato poi con una dichiarazione congiunta.

Con questo documento, Mosca e Pechino hanno riaffermato “un forte sostegno reciproco per la protezione dei loro interessi fondamentali, la sovranità statale e l’integrità territoriale” e hanno ribadito la loro opposizione “all’interferenza di forze esterne nei loro affari interni”.

Abbracciando numerosi argomenti, che vanno da una disquisizione sulla visione sino-russa di diritti umani, democrazia e sviluppo di un moderno sistema internazionale, passando per i cambiamenti climatici, l’impegno a supportare le indagini dell’OMS sull’origine del Covid-19, la lotta al terrorismo e la non proliferazione nucleare, il documento, nei sui passaggi fondamentali, contiene numerosi e interessanti riferimenti alle questioni securitarie di entrambi i paesi, chiaramente in ottica anti-statunitense.

“La Russia e la Cina si oppongono ai tentativi di forze esterne di minare la sicurezza e la stabilità nelle loro comuni regioni adiacenti – si legge nella nota –, intendono contrastare l’interferenza di forze esterne negli affari interni dei paesi sovrani con qualsiasi pretesto, si oppongono alle rivoluzioni colorate e [intendono] aumentare la cooperazione nei settori summenzionati”.

Il riferimento al fronte ovest della Russia e all’Indo-Pacifico appaiono chiaramente, ed infatti:

“Le parti ritengono che alcuni Stati, alleanze e coalizioni militari e politiche cerchino di ottenere, direttamente o indirettamente, vantaggi militari unilaterali a scapito della sicurezza degli altri, anche impiegando pratiche di concorrenza sleale, intensificando la rivalità geopolitica, alimentando l’antagonismo e il confronto, e minando seriamente l’ordine di sicurezza internazionale e la stabilità strategica globale”.

Le parti si oppongono a un ulteriore allargamento della NATO e chiedono all’Alleanza Atlantica di abbandonare i suoi approcci ideologizzati da Guerra Fredda, a rispettare la sovranità, la sicurezza e gli interessi degli altri paesi, la diversità dei loro contesti civili, culturali e storici, e ad esercitare un atteggiamento equo e obiettivo verso lo sviluppo pacifico degli altri Stati”.

Le parti si oppongono alla formazione di strutture di blocco chiuse e di campi opposti nella regione Asia-Pacifico e rimangono altamente vigili sull’impatto negativo della strategia indo-pacifica degli Stati Uniti sulla pace e la stabilità nella regione. La Russia e la Cina hanno fatto sforzi coerenti per costruire un sistema di sicurezza equo, aperto e inclusivo nella Regione Asia-Pacifico (APR) che non sia diretto contro paesi terzi e che promuova la pace, la stabilità e la prosperità”.

L’elemento interessante che traspare dal documento è che, fatto salvo l’esplicito riferimento alla NATO, si mettono molto più in risalto le questioni che riguardano la Cina rispetto a quelle di interesse russo.

Infatti, Mosca ha ribadito il suo sostegno al “principio della Cina unica”, confermando che “Taiwan è una parte inalienabile della Cina e si oppone a qualsiasi forma di indipendenza di Taiwan” e ha anche affermato l’intenzione di rafforzare i legami tra l’EAEU (Unione economica eurasiatica) e la Belt and Road Initiative, ribadendo al contempo le loro relazioni di sicurezza attraverso la Shanghai Community Organization.

Non vi è esplicita menzione agli interessi principali della Russia, soprattutto per quanto riguarda la questione dell’Ucraina, né si è fatto riferimento all’OTSC, Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, a guida russa, che ha svolto un ruolo fondamentale nella risoluzione della crisi che ha recentemente infiammato il Kazakistan.

ambiguità cinese sulla guerra in Ucraina

A leggere la dichiarazione congiunta potrebbe apparire che quella tra Russia e Cina sia, per usare una loro definizione, una partnershipsenza limiti”; eppure è possibile ritenere che in Cina non fossero al corrente della volontà del Cremlino di invadere l’Ucraina.

Emblematiche, da questo punto di vista, le parole di Hua Chunying, portavoce del Ministero degli Esteri cinese, che, nella conferenza stampa del 24 febbraio, ha dichiarato: “Quello che state vedendo oggi non è quello che avremmo voluto vedere” e chiedendo “a tutte le parti di esercitare moderazione e impedire che la situazione sfugga al controllo”.

Rilevante il passaggio di condanna alle invasioni e a difesa dell’integrità territoriale: “Il popolo cinese ha una profonda comprensione e forti sentimenti riguardo alla sovranità statale e all’integrità territoriale attraverso l’esperienza diretta. La storia recente ha visto la Cina invasa dalle forze alleate delle otto potenze e da altre potenze colonialiste, che hanno lasciato ricordi indelebili e commoventi dell’umiliazione nazionale”.

Tuttavia, la portavoce non ha espresso alcuna parola di condanna nei confronti della Russia, e anzi ha incolpato gli Stati Uniti di aver “alimentato il fuoco”, il tutto evitando di utilizzare la parola invasione:

Abbiamo notato che oggi la Russia ha annunciato il lancio di un’operazione militare speciale nell’Ucraina orientale. […] Vorrei sottolineare ancora una volta la posizione coerente della Cina. Dovremmo perseguire una sicurezza comune, cooperativa e sostenibile per tutti i paesi. Le legittime preoccupazioni di sicurezza di tutte le parti dovrebbero essere rispettate e risolte”.

Questi concetti sono poi stati nuovamente espressi il giorno successivo dall’agenzia di stampa cinese Xinhua, nel riportare i contenuti di un colloquio telefonico tra Xi e Putin. Secondo quanto emerso, il Presidente cinese avrebbe esortato ad “abbandonare la mentalità della Guerra Fredda” e che la “la Cina è stata coerente nella sua posizione di base sul rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale di tutti i paesi e sul rispetto degli scopi e dei principi della Carta delle Nazioni Unite”.

Dalle dichiarazioni appare chiaro il tentativo della Cina di non prendere una posizione di aperto supporto o di condanna nei confronti della Russia. Il motivo è ben spiegato in un articolo di Foreign Policy a cura di Melinda Liu, nel quale si legge che, secondo un diplomatico straniero a Pechino, la posizione cinese sull’Ucraina non sarebbe univoca, e anzi possono rintracciarsi almeno tre filoni.

Il primo, maggiormente a sostegno dell’Ucraina, che ribadisce il rispetto della sovranità, indipendenza e integrità territoriale di tutti gli stati; il secondo, più equidistante, che invece supporta il dialogo, la consultazione e la risoluzione pacifica del conflitto in conformità con gli accordi di Minsk – presi maggiormente in considerazione per la natura regionale ed escludente gli Stati Uniti -; l’ultimo, infine, a supporto delle preoccupazioni securitarie russe, in relazione all’allargamento ad est della Nato.

Il comprensibile dilemma di Pechino, dimostrato dall’astensione alla risoluzione Onu di condanna all’invasione russa e alimentato dalle legittime preoccupazioni della classe imprenditoriale ed economica cinese di subire conseguenze negative dalla vicinanza con Mosca, è ulteriormente esasperato dalle opinioni a sostegno della guerra che si levano dalla popolazione cinese. Un’ampia parte della popolazione, infatti, in particolare quella più giovane e maggiormente infusa di un sentimento nazionalistico, vede favorevolmente la “ribellione” russa all’ordine internazionale incentrato sugli Stati Uniti, e ha subito tracciato un parallelismo con la situazione di Taiwan.

Con queste premesse, la dirigenza cinese tende a muoversi in uno spazio risicato. Il tutto avviene, inoltre, in un anno denso di sfide per quest’ultima: mentre la politica “zero covid” inizia a mostrare diverse criticità – Shanghai, metropoli da 26 milioni di abitanti, è in confinamento totale – il paese sta attraversando un periodo politico frenetico.

Le “Due sessioni” di marzo, ossia le riunioni plenarie del Congresso nazionale del popolo e della Conferenza consultiva del popolo cinese, si sono concluse con la definizione dei prossimi obiettivi, che dimostrano un partito maggiormente concentrato sulle sfide interne. Il Congresso ha infatti puntato a un tasso di crescita del PIL intorno al 5,5%, il più basso dal 1991.

Di ancor maggiore rilevanza, inoltre, è il prossimo Congresso Nazionale del Partito Comunista Cinese, programmato per l’autunno del 2022, che, con quasi totale certezza, eleggerà nuovamente Xi Jinping a capo del partito, superando il limite del doppio mandato che era stato inaugurato da Deng Xiaoping.

Anche nella società, tuttavia, il paese è in fase di transizione, con una nuova recrudescenza nella repressione culturale e controllo sulla popolazione: esempi eclatanti dell’ultima virata del governo sono le politiche di eliminazione delle “influenze straniere” dalle aule scolastiche, il divieto per i minorenni di giocare con i videogames per più di due ore a settimana, il contrasto a celebrità considerate “moralmente corrotte” – colpite con accuse di evasione fiscale – e il divieto di esibizione di “uomini effemminati”. Pechino, di contro, sta rafforzando le politiche tese a promuovere la cultura tradizionale cinese, i contenuti patriottici e le attività sportive.

Lo scoppio di una guerra nel cuore dell’Europa, per di più iniziata da un paese ‘quasi alleato’ della Cina, si presenta come un elemento di ulteriore disturbo rispetto ai piani della Cina, che, non avendo deciso come affrontare la situazione, ha optato per un atteggiamento ambiguo.

Se da un lato l’invasione russa in Ucraina può fare, parzialmente, il gioco di Pechino, che, condividendo le preoccupazioni securitarie russe in relazione all’espansione ad est della Nato, manda un messaggio agli Stati Uniti di contrarietà al contenimento marittimo che stanno attuando nel Mar Cinese Meridionale – inviando anche il velato messaggio della fine del periodo in cui gli Usa potevano castrare le aspirazioni egemoniche di altri paesi -, dall’altro spinge la Cina a giostrarsi tra il sostegno alla Russia e la condanna alla guerra, e ciò al fine di non perdere un prezioso partner militare, ma neanche subire indirettamente gli effetti delle sanzioni economiche. In parole povere, la Cina non ha alcuna intenzione di morire per Mosca, specie se questo rapporto potrebbe pregiudicare e infliggere un colpo all’economia del gigante asiatico.

Mentre dalla Cina si solleva più di una critica all’atteggiamento degli Stati Uniti quale “sceriffo del mondo”, Pechino attende ancora una definizione della situazione prima di prendere una posizione netta, pur non abbandonando un paese che, nel breve e medio periodo, rappresenta ancora una risorsa importante per il raggiungimento delle sue aspirazioni.

Cina e Russia, davvero alleati?

È difficile dire come Pechino stesse interpretando le manovre militari russe al confine ucraino prima dello scoppio del conflitto, se come una dimostrazione di forza o come l’inizio di un’operazione bellica, magari di intensità minore come in Georgia nel 2008 o in Crimea nel 2014, ma è ragionevole pensare che la rilevanza che la guerra sta assumendo nel dibattito globale porti inesorabilmente la Cina a vedere la Russia in guerra e isolata dall’Occidente tanto come un elemento di disturbo ai propri interessi economici in Europa, quanto come un’opportunità strategica, relegando  il paese euroasiatico quale socio di minoranza nella partnership.

Negli ultimi anni, in particolare dopo l’annessione della Crimea, i due paesi hanno approfondito un legame che, lungi dall’essere un’alleanza tout court, è da intendersi più come il tentativo di entrambi di abbozzare un gruppo di paesi che possa bilanciare l’enorme e profonda rete di alleanze degli statunitensi in giro per il mondo.

Tramite un sostegno politico ed economico, Pechino ha quindi tentato di usare la Russia come contraltare militare al potere statunitense o, per lo meno, di far apparire questo blocco come in grado di fronteggiare il più capace gigante a stelle e strisce.

A ben guardare, tuttavia, non sembra che la Cina sia realmente intenzionata a sostenere totalmente l’economia russa, che uscirà inevitabilmente indebolita dall’enorme mole di sanzioni che gli occidentali stanno varando, così come la Russia non sembra volenterosa di trasferire ulteriore tecnologia bellica alla Cina, che pure ne ha ampiamente beneficiato negli ultimi decenni anche tramite furti di tecnologia.

Con il crollo dell’Unione Sovietica, la Russia ha dovuto accettare di non essere più la superpotenza in grado di espandere la sua influenza su mezzo globo e fin nel cuore del continente europeo, e tuttavia resta un paese assolutamente rilevante, se non altro per la sua estensione demografia, influenza in diverse aree del mondo e capacità militari (che, ad ogni modo, escono notevolmente ridimensionate da questa guerra), e ciò può tanto fare gola quanto impensierire Pechino.

Si consideri che entrambi i paesi condividono tra loro un confine lungo più di 4mila km, così come hanno interessi contrapposti, soprattutto in Asia centrale. A questo si aggiungono rivendicazioni territoriali cinesi in Siberia che, al momento, vengono tenute sotto la cenere, ma che rappresentano una delle questioni irrisolte dei cosiddetti “trattati ineguali” ai quali la Cina imperiale dovette piegarsi dopo l’arrivo degli occidentali in Asia nel XIX° secolo.

La Russia, inoltre, ha da sempre mantenuto ottimi rapporti con paesi come l’India e il Vietnam, ad oggi in posizioni di antagonismo rispetto alla Cina, soprattutto tramite la vendita di sistemi d’arma, circostanza che fa inevitabilmente preoccupare Pechino. Tuttavia, la Cina non può fare altro che tollerare questi atteggiamenti e non inasprire ulteriormente i già tesi rapporti con i vicini asiatici. Ubi maior…

La guerra in Ucraina inevitabilmente ridefinirà gli equilibri tra i due paesi, con una Cina che diventerà ancor di più il membro forte dell’“asse”. Il nuovo corso però è un’incognita. Sono in molti a pensare che tanto più crescerà l’isolamento della Russia, quanto più aumenterà la sua dipendenza dalla Cina.

Ciò potrà giocare a favore di Pechino nel caso in cui le conseguenze del conflitto non porteranno la Russia in una fase di implosione interna. In quel caso, infatti, l’instabilità del vicino potrebbe invece essere un ulteriore ed imprevedibile elemento di disturbo nella politica a lungo termine della Cina.

Proprio per questo quest’ultima continua a mantenere un rapporto che non è né di condanna, né di supporto alla guerra.

Per gli Usa, però, ciò è sufficiente per preoccuparsi della Cina, al punto che il presidente Biden, in un colloquio telefonico con il presidente cinese Xi, ha minacciato la Cina di “conseguenze in caso di un supporto militare concreto alla Russia.

È probabilmente in un’ottica di pressione e intimidazione nei confronti della Cina da parte degli Stati Uniti che deve leggersi l’articolo del Financial Times del 14 marzo, secondo cui la Cina si sarebbe mostrata disponibile a fornire munizionamento alla Russia, circostanza, però, mai dimostrata.

Ad oggi, infatti, non si rintraccia alcun aiuto concreto, anzi. A fine marzo è stata pubblicata da Reuters la notizia secondo cui Sinopec, colosso petrolchimico cinese, avrebbe interrotto i colloqui per un investimento da mezzo miliardo di dollari in Russia, facendo emergere un certo timore della Cina di subire sanzioni economiche a traino della Russia, e in tale ottica può leggersi anche la firma di un ordine esecutivo di Xi Jinping, che introduce nuove regole sulla regolamentazione dei contratti di appalto di equipaggiamenti militari.

Avallare separatismi

Un tema di frizione tra Cina e Russia è certamente la questione legata all’integrità territoriale. Pechino, infatti, non ha mai riconosciuto l’annessione della Crimea da parte della Russia, così come non ha appoggiato – ma neanche condannato apertamente – il riconoscimento delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk.

Anzi, la dirigenza comunista cinese ha più volte ribadito il principio del rispetto della sovranità territoriale di tutti gli stati. Emblematiche le dichiarazioni del ministro degli esteri cinese Wang Yi pochi giorni prima dello scoppio della guerra: “La sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale di qualsiasi paese dovrebbero essere rispettate e salvaguardate – ha detto alla 58esima Conferenza sulla sicurezza di Monaco del 19 febbraio -. Questo vale anche per l’Ucraina“.

La posizione cinese sul tema è facilmente comprensibile: Pechino non ha nessuna intenzione di avallare separatismi in giro per il mondo, e ciò anche e soprattutto al fine di non fomentare quelli interni in Tibet, Xinjiang e Mongolia meridionale.

Sanzioni Secondarie

Altro e fondamentale fattore che spinge la Cina a non appoggiare direttamente “l’operazione militare speciale” russa è il timore di subire gli effetti secondari delle sanzioni varate a danno la Russia.

Come scritto in precedenza, la Cina sta attraversando un anno politico, sociale ed economico turbolento. Sotto l’ultimo aspetto, il rallentamento della crescita economica causato dall’epidemia da Covid-19 e da alcuni scossoni – su tutti il rischio default per il colosso immobiliare Evergrande – potrebbe essere inasprito dalla situazione in Ucraina.

Come spiegato in un articolo di Bloomberg a cura di Lisa Du e Nick Wadhams, aziende cinesi e funzionari governativi sono in contatto con le controparti statunitensi per ottenere informazioni dettagliate sulle sanzioni imposte alla Russia, e ciò al fine di trovare una soluzione per sostenere il paese euroasiatico senza subire un contraccolpo.

Sul punto Janet Yellen, segretario al Tesoro americano, ha dichiarato alla CNBC: “Come alti funzionari dell’amministrazione stiamo parlando in privato e in silenzio con la Cina per assicurarci che comprendano la nostra posizione. Saremmo molto preoccupati se fornissero armi alla Russia, o se cercassero di eludere le sanzioni che abbiamo messo in atto nei confronti del sistema finanziario russo e della banca centrale. Non vediamo che ciò accada a questo punto. E spetta davvero alla Cina assicurarsi che comprendano questa complessa situazione che devono affrontare”.

Non è chiaro come si comporterà la Cina quando, verosimilmente, la Russia inizierà a dipendere maggiormente dal paese asiatico per il commercio, per l’importazione di generi alimentari e come mercato di sbocco delle esportazioni energetiche, quando – e se – il commercio con il continente europeo dovesse diminuire o fermarsi del tutto.

La Cina non ha interesse ad essere identificata come il paese che salverà la Russia dal baratro, ma neanche a rinunciare al rapporto con il vicino. Ne è un chiaro esempio il progetto di espansione delle capacità dei gasdotti verso la Cina.

La Cina può essere il mediatore tra Russia e Ucraina?

L’ambiguità cinese potrebbe avere anche un risvolto utile nella risoluzione del conflitto che sta infiammando l’Ucraina. Oltre che con la Russia, il paese asiatico, infatti, intrattiene importanti rapporti anche con l’Ucraina.

Secondo quanto si legge sul sito del Servizio Doganale Statale dell’Ucraina, la Cina rappresenta il primo partner commerciale del paese, con uno scambio di circa 68 miliardi di dollari. Non solo, l’Ucraina ha un piano di cooperazione con la Cina nell’ambio del progetto Belt and Road Initiative (BRI) e nel luglio del 2021 ha firmato un accordo intergovernativo con il paese asiatico per importanti progetti infrastrutturali.

L’Ucraina, inoltre, esporta verso la Cina generi alimentari per un giro di affari da più di 3,5 miliardi nel solo 2019. Piccola curiosità: verso la fine degli anni ’90 la Cina acquistò dall’Ucraina la portaerei sovietica Varyag – chiamata Riga dopo gli anni ’90 e ribattezzata Liaoning dalla Repubblica Popolare Cinese – prima nave di questa categoria della marina cinese e ammiraglia fino al varo della seconda portaerei Shandong.

Questi dati, uniti alla conclamata – o presunta? – vicinanza con la Russia, così come le posizioni assunte di sostegno al principio dell’integrità territoriale e di condanna all’espansionismo della Nato, hanno fatto sorgere in alcuni osservatori l’idea che la Cina potrebbe essere uno dei paesi più adatti a mediare tra le parti in conflitto.

Tuttavia, l’eventualità potrebbe arenarsi, e ciò alla luce di alcune considerazioni: anzitutto la Russia si considera un paese di primissimo piano ed è restia ad accettare che qualche altro paese, specie il partner cinese, possa pensare di essere deputato a risolvere una guerra che, nell’ottica russa, è iniziata e finirà solo per volontà di Mosca. Sarebbe anomalo vedere Putin accettare il ruolo di mediatore della Cina, e ancor meno vedere il paese asiatico entrare prepotentemente in una questione che si sta dipanando nel territorio europeo.

Difficile pensare anche che gli Usa accetterebbero di buon grado l’idea che la Cina, ad oggi il solo vero e unico rivale strategico, possa assumere un ruolo di mediatore e, in caso di esito favorevole, utilizzare la risoluzione del conflitto come arma retorica per dipingersi come potenza pacifica in grado di risolvere le dispute internazionali, in contrapposizione agli Usa, paese guerrafondaio e fomentatore della guerra in Ucraina.

In ultimo, l’idea di una Cina mediatrice potrebbe non piacere alle varie cancellerie europee, Francia in primis, che ne uscirebbero con la reputazione a pezzi e verrebbero descritti come paesi oramai ininfluenti, incapaci persino di giocare un ruolo in un conflitto che si svolge nel proprio continente, ribadendo l’idea che l’Europa sia diventata la terra di incontro e di scontro delle grandi potenze esterne ad essa e poco altro.

Si consideri inoltre che sia gli Stati Uniti che l’Ue hanno manifestato una certa ostilità e sospetto nei confronti della Cina quale attore in questo conflitto. Non a caso, in una nota congiunta di Usa e Ue, pubblicata a seguito dell’incontro tra il Segretario Generale del Servizio di Azione esterna europeo Stefano Sannino e il vicesegretario di Stato americano Wendy Sherman, si legge che si continua «a richiamare la Cina sulla necessità di non aggirare e indebolire le sanzioni contro la Russia e di non fornire alcun supporto all’aggressione russa contro l’Ucraina. Ribadiscono che qualsiasi sostegno della Cina potrebbe avere conseguenze sulle relazioni rispettivamente con Ue e Usa».

In ultimo, ad oggi la Cina non ha mostrato segnali univoci di voler intervenire in tal senso, continuando a mantenere una posizione attendista.

La guerra in Ucraina è per la Cina una lezione sulla questione di Taiwan?

Un elemento di assoluto interesse della guerra russo-ucraina vista dall’ottica della Cina, è la riflessione che questa può generare nei vertici del Partito Comunista Cinese in relazione alla situazione di Taiwan.

Secondo alcune opinioni che si sono raccolte in questi quasi due mesi di guerra, l’invasione della Russia potrebbe rappresentare il momento primo di un nuovo periodo storico in cui l’uso della forza militare come strumento di risoluzione delle controversie tra stati potrebbe essere più comune. Inevitabilmente, quando di parla di Cina il pensiero corre subito a Taiwan, considerata da Pechino come una provincia ribelle che, anche con l’uso della forza, dovrà presto o tardi essere riunificata alla terraferma [della questione sino-taiwanese ne abbiamo parlato qui].

Non v’è dubbio che la guerra attualmente in corso offra numerosi spunti per tracciare scenari futuri, e tuttavia appare ragionevole pensare che queste riflessioni vadano in senso opposto ai desiderata di Pechino sulla risoluzione definitiva della controversia con Taiwan.

Anche tralasciando momentaneamente tutte le analisi di natura militare relative all’altissimo grado di difficoltà che incontrerebbe la Cina nel realizzare uno sbarco anfibio sull’isola, le sanzioni contro la Russia messe in campo dagli Usa e dai suoi alleati dovrebbero portare Pechino a più miti riflessioni.

I rischi, anche solo economici, connessi a un’invasione dell’isola sarebbero di gran lunga più difficili da gestire per la Cina rispetto a quelli che sta affrontando la Russia. Nonostante il paese asiatico stia da tempo riflettendo sulle modalità per rendersi meno dipendente dal commercio estero, riassunte nella formula della strategia economica a “doppia circolazione, Pechino dipende ancora enormemente dalle esportazioni dei suoi prodotti, così come dall’importazione di materie energetiche, alimentari e tecnologiche, e questi scambi non possono ridursi nel breve-medio periodo.

Se la Russia è maggiormente slegata dal sistema internazionale di impronta americana, la Cina ne è totalmente inserita e da questo dipende molto del suo benessere. Un’eventuale invasione di Taiwan, oltre a rendere possibile un confronto militare diretto con gli Usa e la loro formidabile marina, potrebbe accelerare il processo di parziale riduzione delle importazioni dei prodotti cinesi per i paesi occidentali. Il tutto avverrebbe in un periodo in cui il processo di eradicazione della povertà assoluta in Cina è lungi dall’essere concluso.

Sicuramente a Pechino studieranno in maniera approfondita la guerra in corso in Ucraina e le conseguenze dirette e indirette che da questa si sono generate, per trarne lezioni anche in ottica questione Taiwan. Tuttavia, visto il ritmo incredibilmente sostenuto con il quale la Cina vara nuove navi per la sua marina, non è possibile escludere che il Partito Comunista Cinese possa pensare di combattere una guerra nel prossimo futuro. Da questo punto di vista, la Cina potrebbe reputare possibile il sostegno da parte di una Russia isolata e totalmente esclusa dalla comunità internazionale, benché questo scenario potrebbe apparire più probabile solo con un appoggio effettivo della Cina nell’attuale guerra in Ucraina.

Verso un nuovo ordine mondiale?

La guerra in Ucraina rappresenta senza alcun dubbio una sfida aperta all’attuale ordine mondiale dominato dagli Stati Uniti. Non c’è dubbio che la Russia sia profondamente insoddisfatta delle dinamiche internazionali formatesi dopo il crollo dell’Unione Sovietica, con il colosso nordamericano che ha rappresentato l’unica superpotenza esistente negli ultimi 30 anni.

Appare evidente che la Russia è intenzionata – o almeno lo era prima della guerra – a sovvertire quest’ordine e crearne uno nuovo. Alcune di queste istanze sono ampiamente condivise dalla Cina che, dopo la formidabile crescita degli ultimi decenni, è smaniosa di prendersi un posto di primissimo piano in Asia e nel mondo. Tuttavia, se la Russia ambisce a smantellare l’ordine mondiale e riformarlo, lo stesso non può dirsi per la Cina che, in quest’ordine, è cresciuta e ha prosperato. Pechino, infatti, mira più a rielaborare alcune dinamiche politiche, riformare le istituzioni internazionali e ridefinire le sfere di influenza, soprattutto in Asia.

La Russia, quindi, rappresenta un elemento imprescindibile nella strategia cinese di medio periodo per controbilanciare l’influenza e la potenza statunitense o, in alternativa, la Cina potrebbe paventare l’ipotesi di recidere parzialmente il suo legame con Mosca a condizione che gli Usa allentino la pressione economica e militare sul paese.

Al tempo stesso, però, queste speculazioni si basano sull’eventualità che l’Occidente reagisca ad una maggiore assertività cinese con le stesse modalità adottate contro la Russia; ciò, però, non può essere preso come un dato certo, essendo la Cina un attore molto più rilevante di Mosca nello scacchiere internazionale e difficilmente isolabile con una manciata di sanzioni economiche che, verosimilmente, costerebbero all’Occidente più di quelle implementate in questo periodo contro la Russia.

Probabilmente, quindi, nei prossimi anni vedremo una Cina che tenterà gradualmente di diminuire l’egemonia statunitense in un’ottica di lunghissimo periodo, evitando un confronto diretto con gli Usa.

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