Chi l’avrebbe mai detto che l’Italia del referendum sull’eutanasia legale da oltre un milione di firme e del dibattito continuo sulla legge 194 si sarebbe d’un tratto ritrovata senza un Comitato Nazionale per la Bioetica?
Scaduto a marzo di quest’anno, prorogato fino al sette maggio, infine dimenticato e non ancora rinnovato proprio da quel Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che non ha mai nascosto un certo, diciamo, interesse riguardo a questioni come l’aborto e la gestazione per altri.
Non è certo illegittimo che l’Italia rimanga sprovvista di un Comitato Nazionale per la Bioetica, in quanto quest’ultimo non è previsto dalla legge: venne istituito con un dpcm, chicca per gli amanti del genere, il 28 marzo 1990.
A differenza dei comitati etici in genere, che si trovano spesso ad avere ruoli anche operativi, si prenda il caso dei comitati per la pratica o la sperimentazione clinica, il Comitato Nazionale per la Bioetica ha da sempre un ruolo primariamente consultivo: non si sostituisce alla responsabilità delle istituzioni cui presta servizio, ma le orienta in maniera non vincolante in mancanza di principi giuridici e parametri etici certi.
Ma se, da un lato, i comitati etici delle aziende sanitarie locali si stanno impratichendo in funzioni sempre più particolari, con la sentenza 242/2019 è a questi affidato, ad esempio, un ruolo consultivo in materia di suicidio assistito, ricorderemo tutti il caso di Fabio Ridolfi e dell’Asur delle Marche del 19 maggio scorso, il Comitato Nazionale si è sempre occupato di fornire pareri di più ampio respiro. Questo perché, per usare un eufemismo, non è mai stato particolarmente stimolato dalla compagine politica che, come è noto, tende a peccare di bio-ignavia.
Con l’arrivo della pandemia le richieste sono aumentate, ma senza raggiungere una frequenza davvero significativa. Importante è stato il parere sul “triage in emergenza pandemica”, datato 8 aprile 2020, con cui il CNB ha categoricamente riconosciuto il criterio clinico come il più adeguato punto di riferimento in un contesto di scarsità di risorse, ritenendo ogni altro criterio di selezione quale ad esempio l’età, il sesso, il ruolo sociale, l’appartenenza etnica, la disabilità, la responsabilità rispetto a comportamenti che hanno indotto la patologia, o i costi, eticamente inaccettabile. Un parere in cui il Comitato non ha mancato di sottolineare come la allocazione delle risorse sanitarie in una condizione di emergenza necessitasse della massima trasparenza nei confronti dell’opinione pubblica: un esempio di come un tale organo possa e abbia saputo farsi carico di un serio sodalizio fra decisione e responsabilità in un momento non certo semplice.
Il CNB non è un organo rappresentativo, almeno non sulla carta. A differenza della “Assemblée nationale de bioéthique” francese, voluta nel 1983 da Mitterrand e nel cui atto costitutivo è prevista una certa varietà professionale e culturale nella composizione, la normativa del Comitato italiano presenta in tal senso un modello tendenzialmente indifferente: non sono previste quote per religioni, confessioni o altre differenze culturali. Di fatto però, per buona prassi, si è sempre cercata ed ottenuta una certa rappresentatività, anche se non esaustiva.
Nell’ultima composizione erano ad esempio presenti Francesco D’Agostino, già Presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani, Riccardo Di Segni, rabbino capo della Comunità ebraica di Roma e già vicepresidente della Conferenza Rabbinica Europea, Luca Savarino, Coordinatore della Commissione Nazionale di Bioetica delle Chiese Battiste Metodiste, ed ovviamente una folta rappresentanza del mondo laico e non confessionale.
Non sfuggirà, inoltre, l’estrema varietà delle competenze (e delle fedi, laiche o meno) di alcuni nomi di assoluto rilievo che hanno preso parte alle passate composizioni: Umberto Veronesi, Elio Sgreccia, Eugenio Lecaldano, Daro Antiseri, Rita Levi Montalcini, Carlo Flamigni, Giovanni Berlinguer.
La capacità di ritenere non solo legittima ma anche stimolante un’opinione differente, anche profondamente differente dalla propria è uno dei principali elementi che differenzia, specie nelle discussioni che hanno questioni di biodiritto per oggetto, il dialogo sagace dalla inconcludente polarizzazione di certi, e sottolineo certi, attivismi. Quello del pluralismo metodologico e quello della mediazione o accomodazione tra principi ispiratori anche divergenti, cosa ben diversa dal non voler scontentare nessuno, sono due elementi fondanti dell’etica che il Comitato Nazionale è riuscito più volte ad incarnare.
E mentre la bioetica si sta trasformando in una disciplina sempre più globale, in cui il progresso tecnologico e biomedico, il rapporto uomo-animale, la questione interculturale e la giustizia climatica porranno questioni che andranno ad affastellarsi in un’arena già pregna di enormi interrogativi, l’augurio è dunque che il nostro Presidente del Consiglio si faccia carico al più presto del rinnovo di un organo tanto fondamentale e contemporaneo.
In Francia, ad esempio, la più recente “loi de bioéthique”, la normativa relativa a questioni bioetiche rilevanti, risale al 2 agosto 2021: ha esteso la procreazione medicalmente assistita alle coppie omosessuali e alle donne single, oltre ad aggiornare diverse disposizioni in materia di crioconservazione dei gameti sovrannumerari, di ricerca sugli embrioni e sulle cellule staminali.
Quello francese è senza dubbio un esempio di biodiritto “tripla A”: attento, aggiornato, aperto. E non lo è certo per magia: la “loi de bioéthique”, infatti, viene aggiornata ogni sette anni tramite convocazione degli Stati Generali. Il solito “Symbolisme à la Français”, diranno alcuni.
E invece parenti serpenti, ma ogni tanto anche un po’ docenti.