“Questo, dunque, sarebbe lo stanziarsi costitutivo dell’arte: il mettersi in opera della verità dell’ente”. Così si esprime il filosofo Heidegger nel suo scritto “L’origine dell’opera d’arte”, e in sostanza vorrebbe dire che l’arte permette all’ente- a una cosa cioè- di mostrarsi come realmente è.
Partiamo dalla considerazione che una qualsiasi opera d’arte parte da una base materiale (la tela, il blocco di pietra; anche le note, se intese come onde sonore che vibrano). Al di là di questa però vi è dell’altro, ossia l’opera ha una capacità simbolica, di rappresentare Altro oltre alla materia.
Ora, il significato presente in un’opera d’arte è evidentemente diverso da quello che si può ritrovare in un attrezzo. Prendiamo ad esempio un paio di forbici. Queste hanno un loro scopo, tagliare, definito “servibilità”. Possiamo dunque servircene per uno scopo pratico, cosa che non possiamo fare con delle forbici dipinte, né tanto meno con una canzone che parla di forbici. Tuttavia ci comunicherebbero di più delle forbici, abilmente forgiate dall’artigiano. La differenza fondamentale è questa: le forbici, attrezzo, vengono adoperate solo secondo il proprio scopo; la canzone racconta la verità, racconta proprio quelle forbici, uniche per questo.
L’opera è una contesa tra due elementi: la Terra (semplicemente la materialità) e il Mondo (“una particolare modalità costitutiva”, una condizione). Dunque l’opera fa insorgere un mondo, un “contesto” particolare, però attraverso una base concreta. La canzone sulle forbici genera e sofferma un mondo a partire da loro, e con ciò ci fa capire cosa davvero siano e cosa significhino per il loro proprietario. Ecco, forse ora capiamo come accade la verità nell’arte, l’oggetto artistico si mostra come è realmente.
Il punto più problematico di quest’opera è rappresentato dalla posizione dell’artista, definito come “soggetto debole”. Chiariamo: il momento della vera e propria creazione artistica è fondamentale, sembra però un rapido momento di gloria per l’artista.
Una volta che l’opera viene posta in un museo o in una mostra, questa viene sottratta al suo mondo di appartenenza, si presenta come “già-stata”, è un semplice oggetto. Ancor prima anzi, cioè appena terminata, l’opera si distacca dall’artista e dalla sua intenzione originaria (dal mondo che l’artista voleva esprimere). Torna ad essere, o diventa, una cosa materiale, che però è anche la base per un’idea, un’interpretazione.
Da questo momento l’opera è in grado di produrre un senso indipendente rispetto a quello originario. Questo spiega la portata universale dell’arte, e quindi anche della musica, del perché alcuni prodotti siano apprezzati anche molto tempo dopo la loro realizzazione.
Alla fine si sta semplicemente dicendo che l’interpretazione di una qualsiasi forma artistica è un fatto soggettivo, poiché si basa sulla situazione irripetibile dell’incontro tra proprio quell’opera e proprio quello spettatore (che ha proprio quelle esperienze di vita alle spalle).
Siamo giunti alla conclusione che ogni canzone, così come ogni quadro o ogni statua, non è altro che l’occasione, per lo spettatore, di incontrare se stesso, la propria storia personale, nell’opera. La magia dell’arte è anche questa: ognuno può appropriarsene. In tutto questo chi sembra rimetterci è proprio l’artista-creatore, ridotto a uno spettatore fra i tanti. Tuttavia il suo l’ha fatto: ha fatto insorgere il mondo che voleva, ma l’ha lasciato a disposizione. Questo può anche essere visto come la rivincita dello spettatore comune: messo di fronte al genio artistico del musicista, del pittore, può reclamare una visione altrettanto valida e altrettanto vera.
“Questo, dunque, sarebbe lo stanziarsi costitutivo dell’arte: il mettersi in opera della verità dell’ente”. Nell’opera accade la verità, oggettiva e indubitabile, eterna. Ma a ciascuno la sua.