Dopo un inizio a rilento e un piano vaccinale poco chiaro, lo stato della vaccinazione in Italia è al momento tra i migliori in Europa. Tuttavia, parliamo di numeri ancora ridotti e per tornare alla vita pre-Covid ci vorrà tempo.
Un inizio lento
Il 27 Dicembre 2020 la vaccinazione contro il SarsCoV-2 è cominciata in diversi Paesi europei grazie alla consegna dei primi lotti del vaccino sviluppato e prodotto da Pfizer/BioNTech. La gioia per l’arrivo di un’arma tanto attesa, però, ha dovuto presto lasciare spazio a pesanti polemiche. Infatti, mentre Paesi come Germania e Francia avevano ricevuto rispettivamente circa 151mila e 20mila dosi, in Italia ne erano arrivate soltanto 9750, facendo temere da subito una disorganizzazione a livello di acquisto, distribuzione e somministrazione. Un timore che era anche alimentato, giustamente, da una scarsa chiarezza a livello comunicativo riguardo al piano di vaccinazione. Proprio a livello di comunicazione, infatti, sarebbe bastato spiegare che le dosi prenotate dall’Italia sarebbero arrivate regolarmente durante la settimana e che quelle consegnate in un singolo giorno non erano indicative di quante ne sarebbero arrivate in futuro.
La rapida accelerata
A oggi, lo stato della vaccinazione in Italia vede ben 654,362 dosi somministrate, ribaltando completamente il lento inizio del 27 Dicembre e piazzandola tra i migliori Paesi europei con un rate di 1.08 vaccinati per 100 persone (contro i 0.73 e 0.12 di Germania e Francia rispettivamente). Per quanto questo sia un risultato positivo, è un trend che dovrà essere assolutamente confermato e migliorato, puntando soprattutto su quelle regioni come la Lombardia dove, al momento, il rapporto tra vaccini somministrati e quelli disponibili è davvero troppo basso.
Chi sono i vaccinati?
L’Italia sta facendo bene, è un dato di fatto, tuttavia, è evidente che con cifre sotto il milione prima di poter vaccinare una popolazione di 60 milioni di individui ci vorrà tempo. Le dosi, infatti, sono molto limitate in questa prima fase e per questo si è dovuto stilare una lista atta a individuare quali individui fossero più a rischio e quindi da vaccinare il prima possibile. Sebbene un anno di pandemia ci abbia duramente insegnato che la Covid-19 è particolarmente fatale negli anziani, la vera priorità ora è proteggere coloro che per lavoro sono obbligati al contatto con i pazienti, con un rischio di essere contagiati esponenzialmente più alto di chi può invece rispettare le norme anti contagio. Parliamo quindi di tutto il personale sanitario (dagli ospedali alle RSA) che al momento rappresenta infatti circa l’80% dei vaccinati.
Quando torneremo a una vita normale?
Con più vaccini in via d’approvazione e altri approvati recentemente, possiamo sicuramente dire che ora il futuro sembra meno incerto. Quella che prima era una semplice speranza, ora è diventata certezza: il SarsCoV-2 si può sconfiggere. O possiamo almeno renderlo innocuo. La domanda con la D maiuscola, però, rimane al momento ancora senza una risposta certa. Quando torneremo a una vita normale? Al momento è davvero difficile da dire. Purtroppo, non ci sono altre risposte.
I vaccini come arma di prevenzione: infezione e sintomi
Grazie ai test pubblicati da Pfizer, Moderna e AstraZeneca sappiamo che i vaccini proteggono dai sintomi gravi della Covid-19, ma sappiamo ancora poco su quanto duri questa protezione e quale sia l’efficacia nel bloccare la trasmissione del virus. Quest’ultimo, in particolare, è un dettaglio estremamente importante che avrà un fortissimo impatto sul tempo necessario a tornare alla normalità.
I vaccini sono farmaci preventivi e, nel caso di malattie infettive, gli eventi da prevenire sono due: l’infezione stessa e lo sviluppo della malattia. Se la capacità di evitare l’insorgenza dei sintomi ha dei vantaggi ovvi, quella di bloccare l’infezione, detta capacità “sterilizzante”, necessita di un’analisi ulteriore. I virus sono dei parassiti obbligati, ovvero per sopravvivere hanno bisogno di un ospite da infettare e dentro il quale potersi replicare. Una popolazione vaccinata con un vaccino sterilizzante (come ad esempio quello per il morbillo) rappresenta un terreno ostile per un virus, il quale, non trovando nessun ospite in cui entrare per riprodursi, ha come unico destino quello di scomparire. Inoltre, la capacità di mutare di un virus è sì dipendente dalle sue caratteristiche intrinseche, ma è anche direttamente proporzionale al quanto viene lasciato libero di replicarsi. Lo stesso SarsCoV-2, infatti, è un virus che non ha una grande propensione a mutare, ma avendo infettato quasi 90 milioni di persone nel mondo in poco più di un anno, è riuscito lo stesso ad accumulare molte mutazioni, alcune delle quali anche particolarmente preoccupanti. Questo significa che bloccare la diffusione permette non solo di proteggere quelle persone che il vaccino non lo possono fare, proprio evitando che il virus “viaggi” fino a loro grazie alla famosa immunità di gregge, ma anche di evitare la comparsa di ceppi mutanti potenzialmente pericolosi. Ceppi che potrebbero risultare pericolosi anche per chi il vaccino lo ha ricevuto.
Per capire meglio l’impatto dei vaccini sulla situazione attuale, possiamo fare una piccola analogia. La pandemia che stiamo vivendo è come una valanga che sta travolgendo un villaggio. Un vaccino sterilizzante equivarrebbe alla costruzione di barricate al confine del villaggio stesso, proteggendo così in un colpo solo ogni singola casa a fronte di uno sforzo limitato. Un vaccino non sterilizzante, invece, equivarrebbe a rinforzare le case singolarmente. Proteggere tutto il villaggio richiederebbe quindi un enorme sforzo, con lo svantaggio aggiuntivo di avere case non “rinforzabili” e quindi a forte rischio di crollare.
L’efficacia dei vaccini contro SarsCoV-2
I vaccini attualmente in uso nei vari Paesi (e per cui abbiamo dati certi, quindi escludendo quello russo e quello cinese) hanno mostrato un’ottima efficacia nel proteggere dalla sintomatologia della Covid-19, soprattutto quella grave. Nei trial clinici, infatti, nel gruppo di persone che avevano ricevuto il vaccino non è stato rilevato alcun caso grave, mentre nel gruppo che aveva ricevuto il placebo i casi sono stati di più, in linea con le statistiche che già conosciamo. Per quanto riguarda la capacità sterilizzante, invece, non abbiamo attualmente dati su esseri umani per poter trarre conclusioni altrettanto certe. Gli unici dati su cui possiamo basarci per fare previsioni, sono quelli ottenuti dagli studi pre-clinici, ovvero quelli sugli animali (macachi, in particolare). Nel caso del vaccino a mRNA di Pfizer/BioNTech i macachi vaccinati non avevano traccia di virus nelle vie respiratorie inferiori, suggerendo una protezione abbastanza efficace dall’infezione. Nel caso del vaccino di Oxford/AstraZeneca, invece, gli autori dello studio hanno osservato una “notevole riduzione della carica virale”, lasciando quindi intendere una protezione non completa. Questi studi, anche se preziosi, hanno due grosse limitazioni: gli esseri umani non sono uguali ai macachi e, al momento, questi studi non hanno ancora seguito il processo di revisione dei pari (peer-review), per cui vanno presi per quello che sono, ovvero dati preliminari. L’unica cosa che possiamo fare, quindi, è attendere nuovi dati, soprattutto monitorando l’incidenza dei contagi nei casi di contatti tra persone vaccinate e persone non vaccinate.
Infine, un’altra cosa da non sottovalutare sono le mutazioni che abbiamo visto comparire nel Regno Unito e in Sud Africa. Esse hanno generato una variante della proteina Spike del SarsCoV-2, che è proprio quella usata nei vaccini per educare il sistema immunitario a riconoscere il virus. Fortunatamente, è raro che singole mutazioni rendano completamente inefficace un vaccino. Il nostro corpo, infatti, produce anticorpi in grado di riconoscere diverse porzioni della proteina virale e dovrebbe quindi essere in grado di riconoscere anche la versione mutata. Questa, però, è solo una previsione basata su ciò che abbiamo osservato finora con altri vaccini e, in quanto tale, non è una certezza matematica, soprattutto nel caso le mutazioni dovessero iniziare ad accumularsi. Per questo, sarà fondamentale monitorarne la diffusione, cosa su cui l’Europa è molto indietro, per capire se e come queste influenzino i vaccini a livello di capacità sterilizzante e prevenzione dei sintomi. Il 2021 sarà davvero un anno cruciale.
Gli scenari futuri dipenderanno dall’efficacia dei vaccini
Se i vaccini utilizzati risulteranno essere anche sterilizzanti, i miglioramenti su scala globale arriveranno discretamente in fretta, pur senza aver vaccinato il 100% della popolazione. A seconda dell’efficacia, infatti, potrebbe bastare circa il 70% per liberarsi di questo virus e anche con percentuali più basse faremmo lo stesso notevoli passi avanti. Quindi, con una previsione un po’ ottimista, già entro la fine del 2021 potremmo vedere un mondo tornato quasi alla normalità.
Nella peggiore delle ipotesi (vaccini non sterilizzanti), dovremmo invece vaccinare praticamente tutta la popolazione per poterci considerare liberi di tornare quasi a una vita pre-Covid. In Italia, questo significherebbe dover vaccinare circa 300mila persone al giorno per un anno intero (150mila per eventuali vaccini a singola dose). Allo stato attuale questo è un numero impossibile, ma, con l’approvazione di nuovi vaccini e l’aumento della produzione, diventerà un traguardo raggiungibile. Certamente servirà uno sforzo organizzativo senza precedenti da parte di tutti gli organi competenti e, in particolare, servirà giocare d’anticipo per non farsi trovare impreparati quando arriverà il momento di spingere sull’acceleratore. In ogni caso, considerando che prima di raggiungere quell’efficienza ci vorrà tempo, possiamo ipotizzare di arrivare al traguardo finale non prima del 2022.
Nonostante i pochi dati, comunque, possiamo lo stesso fare alcune previsioni su come cambierà la qualità della vita durante i prossimi mesi. Anche nello scenario peggiore saranno possibili graduali miglioramenti dovuti alla progressiva immunizzazione delle fasce più a rischio. Le conseguenze di tale immunizzazione saranno meno morti, meno ricoverati e meno pressione sulle strutture sanitarie. Conseguenze che, tutte messe insieme, allenterebbero non poco anche la pressione psicologica sulla popolazione, un aspetto della salute umana purtroppo molto spesso sottovalutato. Di sicuro la pandemia non scomparirà in una notte, ma se già potessimo tornare a viaggiare dimenticandoci l’incertezza sui colori delle Regioni, sarebbe indubbiamente un primo enorme sollievo.
Informazioni chiare ed esaurienti!!! Ottimo articolo!!
Questa è INFORMAZIONE! Grazie.