STRACCI DI TESSUTO D’ARTISTA – INTERVISTA A JACOPO NACCARATO

7 Dicembre 2020

Se dovessi consigliarvi un sabato sera alternativo non vi consiglierei la compagnia di un musicista (di musica classica intendo) o di uno scrittore, assolutamente no! Soprattutto i giovani d’oggi, che sono in competizione con i loro attributi accademici e intellettuali; spesso mi trovo a sospirare “mio Dio, che palle”.

Volete divertirvi? Tornare a casa con la testa che non smette di lavorare pensieri e immagini? Vi do un consiglio allora, spendete una serata con un artista. Ma badate bene, molti rientrano in quel gregge che ho amaramente descritto, ma Jacopo Naccarato no.

Jacopo è un amico, una fonte d’ispirazione a volte, qualcuno che inizialmente vuoi evitare ma che poi non puoi non rincorrere per avere una sua osservazione.

Non difendo Naccarato perchè siamo cresciuti intellettualmente insieme, sebbene su due rami totalmente diversi, ma è raro inciampare su un individuo divertente, spensierato ma allo stesso tempo sensibile, profondo e umile nel suo lavoro. Ve lo giuro, è raro!

Ho approfittato di questa possibilità di AlterThink (che continuo a ringraziare) per dimostrarvi ciò che penso, ma non tanto di lui, ma del suo lavoro.

Perché è questo che sono gli artisti: un individuo dietro la loro creazione.

“Scaricatura Rosa” 2020

Che cosa è per il processo creativo? Come funziona in te?

Si può pensare che il processo creativo sia un momento di trans (immaginiamo la Santa Teresa di Gian Lorenzo Bernini, estasiata, fluttuante e decisa a raggiungere il divino, l’ultra terreno), oppure una riflessione che viene dopo questo.

Ispirazione, questa è la parola più usata.

L’ispirazione, quindi l’idea, diciamo così, innesca il processo creativo e apre le danze al fare. Ora questa ispirazione, ahimè, non ci colpisce in pieno come il fascio di luce su Santa Teresa (almeno non me), ma piuttosto è il risultato di tanti sguardi e di alcune buone intuizioni che portano ad un momento decisivo, una digestione. La somma di tutti questi elementi, unita ad una severa pratica, portano ad un proprio ritmo di lavoro. Ci sono giorni dove lavoro assiduamente con la pittura e altri dove scolpisco la pietra, giorni dove produco per 8 ore e periodi interi di digiuno dalla pratica; ciò nonostante tutte queste fasi fanno parte del mio “processo creativo”. Direi quindi che quest’ultimo non ha nè un inizio nè una fine, bensì ci sono dei momenti dove ci si dispone all’atto creativo.

“Insolvenza” 2020

Quale è stata la tua formazione artistica? Da dove e come sei partito e dove sei arrivato, ma soprattutto a cosa?

Ho sempre disegnato e lavorato con l’argilla, più di quanto normalmente un bambino faccia. Per il mio quinto compleanno mi è stato regalato dalla zia, per mia espressa esigenza, il primo ed unico cavalletto che ancora oggi mi accompagna.

Allora non sapevo di certo cosa fosse l’arte ne tanto meno tutto l’universo che comprende, ma quasi biologicamente avevo bisogno di quel dispositivo per poter iniziare a rispondere alle mie esigenze. Non è che volevo essere un’artista e nemmeno credevo che quella fosse la mia vocazione, lo facevo e basta.

Questa consapevolezza nasce un po’ dopo, durante un momento di crisi al primo anno di liceo scientifico. Interrogandomi su cosa mi piacesse o cosa sapessi fare riconsiderai la mia attitudine all’arte e decisi d’iscrivermi all’istituto d’arte. Da quel momento ho intrapreso questo percorso con crescente interesse, che mi ha portato ad iscrivermi all’Accademia di Belle Arti di Bologna, che sto ancora terminando.

In questo arco di tempo sono moltissime le cose che ho imparato e quelle che ho scordato. Ho praticato molto, mettendo a punto nuove tecniche, seguito corsi, conosciuto artisti e professori che mi hanno insegnato, compagni e colleghi con i quali mi sono confrontato, insomma le cose sono davvero molto cambiate da quei piccoli quadretti fatti su quel cavalletto, ma mi piace pensare che quello che sto continuando a cercare con il mio lavoro abbia le sue radici lì.

Quali sono i canoni che utilizzi nella tua arte?

Inizierei dicendo che di canoni, forse, ne sono rimasti ben pochi in giro, o meglio: oggi l’arte non ha il ruolo di dettare canoni di perfezione o bellezza come faceva in passato; per questo c’è Instagram.

Però posso dirti che ci sono qualità sia estetiche che semantiche che attirano la mia attenzione più di altre e che inevitabilmente entrano nel mio lavoro. Non ti parlerò di fianchi larghi o labbra carnose, ne di addominali scolpiti o proporzioni perfette, ma ti posso dire che anche io adotto dei sistemi di rappresentazione dei miei soggetti.

Devi sapere che da un paio d’anni a questa parte una grande fetta della mia attività artistica è dedicata al tessuto, e proprio con la stoffa ho dato vita ad una metafora con il soggetto. Utilizzare i tessuti per me è un modo per trasportare l’identità più intima di una persona senza la gabbia dettata dalla rappresentazione statica di un volto, una somiglianza.

Ad esempio, noi due ci conosciamo da tempo, abbiamo trascorso molto tempo insieme, so che musica ascolti e quale vino ti piace bere, so quali vestiti indossi e dove li compri, so quello che fai ecc… insomma tutte queste informazioni mi offrono comunque un ritratto di te, decisamente meno esplicito rispetto ad una tua foto e, quindi, al contempo più intimo, visibile a colui che ti conosce oltre la tua immagine. Noi tutti siamo in grado di riconoscere le foto di un personaggio famoso, ma questo basta per dire di conoscerlo?

Il tessuto è indice del nostro ingegno, frutto della nostra creazione e ormai elemento inseparabile dalle nostre vite. Nasciamo in fasce e moriamo coperti da un velo, ci infiliamo sotto le lenzuola la sera e indossiamo abiti per quasi tutta la nostra giornata, non fanno parte di noi?
Un cappello strano, un jeans strappato o una giacca tre bottoni mi parla di te, mi racconta cosa pensi e mi trasmette i tuoi pensieri, i tuoi ideali, riconosco i tuoi amici e posso immaginare i tuoi nemici, insomma io non voglio sapere tutto di una persona e nemmeno avere la presunzione di poterlo sapere, ma mi piace raccogliere queste informazioni e dare una storia alla mia immaginazione.

“Senza Titolo” – Tessuti trattati con acqua e terra, pietra arenaria e gancio in ferro

Ricordo benissimo quando alle superiori studiammo il Futurismo. Siamo cresciuti adesso e per entrambi è solo una memoria di formazione, ma ai quei tempi fummo tempestati da quel movimento. Eravamo entusiasti! Sembrava una ribellione, un vero e proprio stacco dalle regole ed era made in Italy.

Fantasticavamo su un nostro movimento, su una nostra formazione fuori dagli schemi e questa passione ci ha portato in vari posti, sia nel nostro amato paese che fuori.

Ovunque ci siamo incontrati, che fosse Ferrara o Bucarest, siamo sempre riusciti ad estrapolare un concetto, un immagine e delle sensazioni da ciò che ci circondava. Almeno per me, ogni volta era una pesca di idee e ispirazioni.

Tu e il tuo lavoro, come avete affrontato il primo Lock Down?

Fortunatamente il lockdown mi ha trovato nella casa dei miei in Toscana, in campagna, perciò posso dire che già quest’aspetto è stato importante per il corpo di lavoro che è partito durante la chiusura. Come sai qui a Bologna condivido un appartamento con altri tre ragazzi e per questioni di spazio sarebbe stato difficile avere un ritmo di lavoro sufficiente, nonché aver modo di lavorare con la scultura. Quindi, una volta a casa, con il lockdown in atto, mi sono adoperato per risistemare un capanno dietro casa. Ho trasformato quel luogo nel mio studio e, dopo un po’ di tempo, ho trovato una dimensione molto favorevole per il mio lavoro.

Spazio e tempo erano dunque a mia completa disposizione. Premetto che qualche mese prima della quarantena avevo ricominciato a dipingere dopo un periodo di silenzio durato qualche mese, perciò sulla scia di questa spinta ho portato avanti il lavoro di pittura parallelamente a quello di scultura.
E’ emerso, soltanto a posteriori, un gesto quasi profetico in un ciclo di lavori realizzati poche settimane prima dalla chiusura.

In maniera del tutto naturale mi sono avvicinato alla figura della casa, ho cosi iniziato a dipingerne molte, case su case, fino a quando poi siamo stati tutti costretti a chiuderci dentro, eheh!

Mi sono sorpreso e spaventato di me stesso, ma posso dire che questa volta ho avuto un contatto molto diretto con questo soggetto dei miei lavori.

Come pensi si svilupperà il settore nel futuro?

Io non faccio il mercante d’arte e nemmeno il gallerista, io provo ad essere un’artista e anche come tale non sono ancora “dentro” il tessuto del sistema dell’arte da poterti dare risposte concrete. Visito mostre, frequento gallerie e vado a qualche fiera, m’informo, leggo e parlo con colleghi e professori perciò è certo che mi sono fatto un’idea sulle circostanze del mondo dell’arte, ma fare un’ipotesi per il futuro credo sia difficile per molti. Di sicuro lo è per me.
Si tratta di mercato e, come quello finanziario, sale e scende, alcune cose acquistano valore, altre lo perdono, questo è inevitabile.

Se si vuole diventare artisti, vivendo di questo, bisogna fare i conti con il mercato, le gallerie e le fiere, io ancora non ne faccio parte, perciò non posso aggiungere altro per il momento.

É strano pensare a tutto il tempo speso insieme, al tempo che poi ci ha divisi ma che spesso ci riunisce.

Ricorderò sempre Jacopo come il mio compagno di banco, forse l’unico che all’epoca comprendeva e sosteneva uno “strano campagnolo” come me. Non mi dispiace che sia solo un immagine del passato, perchè quando qualcuno, oggi giorno, mi chiede di lui, la prima risposta che mi viene è: “Sì, conosco Jacopo Naccarato, è un grande artista, adoro il suo lavoro”!

Abbiamo parlato di amicizia, di tanta arte e mi fa ridere pensare che esistano davvero pochissimi reperti fotografici che vedono me e Jacopo insieme. E pure, se qualcuno di voi ha un buon occhio, scommetto che qualcosa riuscirà a trovare…

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