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DDL ZAN, LA SINISTRA FOTTE LE PERSONE LGBT+

29 Ottobre 2021

Mercoledì si è infranta definitivamente la possibilità di approvare il ddl Zan. Il Senato ha accolto la pregiudiziale presentata da Lega e Fratelli d’Italia per procedere al “non passaggio all’esame degli articoli”. La votazione, in termini numerici, è stata di 154 sì, 131 no e 2 astensioni, gli assenti erano 28. É quasi scontato che il Senato non avrà i tempi minimi necessari per tornare a occuparsi di una legge simile in tempi brevi.

Sono state due le scelte del Partito Democratico che hanno di fatto annullato ogni possibilità di approvazione e hanno letteralmente fornito ai sovranisti l’opportunità per il delitto. Il movente già c’era, i mezzi erano forniti dal voto segreto a cui la presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati ha dato parere positivo, in quanto aderente al regolamento dell’Aula e a precedenti simili. Effettivamente era così.

Una comunicazione polarizzante

In primo luogo, come sempre, la sinistra ha desiderato rappresentare la dialettica sul ddl Zan come una battaglia del bene contro il male. Ha colto pienamente il punto il direttore del Foglio Claudio Cerasa: “una perfettibile legge sui diritti” è stata trasformata “in un caposaldo imprescondibile della democrazia italiana”. La linea del Partito Democratico è stata: “dire sì al ddl Zan significa essere antifascisti, dire di no significa essere antidemocratici e qualsiasi compromesso coi nemici dell’antifascismo non più che diventare un cedimento alla dittatura del pensiero fascista”.

Va collocato in questo contesto l’intervento a gamba tesa della politica Netflix, copyright di Lorenzo Pregliasco, che ha polarizzato ulteriormente il dibattito. Fedez è l’esempio migliore in tal senso. La prova massima è stata la diretta Instagram che ha organizzato con lo stesso Zan, Civati e Cappato. In quell’occasione ha messo in luce tanto la sua totale insipienza rispetto al funzionamento di una democrazia parlamentare, quanto l’ostilità antropologica e aprioristica nei confronti del dissenso con cui nutre i suoi numerosissimi follower. Populismo allo stato grezzo.

É stato decisamente singolare vedere quanto odio, anche violento, molti influencer vicini al mondo LGBT+ hanno vomitato dopo l’approvazione della tagliola. Non solo Fedez, ma anche Cathy La Torre, Giulio Cavalli, Tommaso Zorzi. L’elenco sarebbe lungo. L’assolutamente moderato Mattia Feltri, su La Stampa, ha consigliato ironicamente a costoro di “tenersi stretto il diritto all’odio”. Sembra una questione laterale, ma nella battaglia del bene contro il male non lo è. Sia chiaro, nemmeno a me è piaciuto vedere le grida di giubilo e l’esultanza da stadio della stragrande maggioranza dei senatori di destra. Li ho trovati sgrammaticati dal punto di vista istituzionale e, viste le motivazioni tendenzialmente omotransfobiche che li muovevano, umanamente deprimenti e deplorevoli. Ma non è questo il punto.

La rinuncia al fare politica

Poste queste premesse, è stato quasi inevitabile arrivare alla seconda scelta, sempre rivendicata dalla classe dirigente del PD: il rifiuto di ogni modifica al disegno di legge. Chi ha proposto di introdurre modifiche migliorative è stato messo all’indice come nemico del popolo LGBT+, una gogna preventiva. Eppure alcune perplessità sono arrivate da personalità non proprio fasciste, penso al professor Flick o al professor Ainis. Ce ne sarebbero tanti altri. In un editoriale su La Stampa, Marcello Sorgi, anche lui non proprio un pericoloso reazionario, ha scritto: “in sostanza, un’assolutamente logica difesa dei diritti di gay, lesbiche e transessuali di fronte a insulti e violenze si sarebbe potuta ottenere con più accorte e specifiche formulazione e scelta delle parole”.

Nel Signore degli Anelli, Gandalf, battendo stentoreamente il bastone per terra, ha fermato Balrog urlando la celebre frase “tu non puoi passare!”. Ora, pensate se Gandalf avesse avuto in mano un bastoncino di zucchero e fosse stato a bordo di una slitta piena di regali. Qualunque mossa eroica si sarebbe risolta in una tragedia e, probabilmente, nella strage della compagnia dell’anello. Ebbene la scelta di “morire in battaglia” piuttosto che fare dei compromessi enunciato da Monica Cirinnà, senatrice del PD, non è così dissimile da tale scenario. Le forze del bene non potevano essere piegate dall’arte della politica, quindi del possibile, immondo rimasuglio di una realtà poco allineata con i tempi degli influencer. E dire che, se avessero ragionato così nel 2016, non avremmo nemmeno le unioni civili…

I conti che non potevano tornare

Dal centrodestra, culturalmente oscillante tra reazionarismo e conservatorismo sociale, non ci si aspettava nulla, se non qualche defezione. Dal centrosinistra l’aspettativa poteva legittimamente essere differente. Ma la posizione del PD è stata di inflessibilile rigidità.

Durante il governo Conte II il disegno di legge passò per il rotto della cuffia. Era evidente che, in assenza di un governo compattamente schierato, la strada sarebbe stata in salita vista l’eterogenea composizione del governo Draghi. A luglio il ddl Zan si era salvato a scrutinio palese per un solo voto. Pensare che a scrutinio segreto la maggioranza si sarebbe incrementata può essere sintomo solo di dilettantismo sconcertante o suicidio ragionato. Sinceramente fatico a figurarmi Letta e la classe dirigente piddina come un branco di sprovveduti, sarebbe oltremodo erroneo ed offensivo definirli incapaci di leggere una situazione così banale.

Valerio Valentini ha riportato sul Foglio il monito di Federico D’Incà, ministro per i Rapporti con il Parlamento: “Guardate che è un’azzardo troppo grosso, prendiamoci un’altra settimana”. Così come non si può imputare il ministro di area contiana di essere un pericoloso membro delle destre, si può dire lo stesso di Luigi Zanda che ha dichiarato “il PD ha commesso errori da matita blu”.

La caccia alle streghe come modus operandi

L’obiettivo era ottenere il passaggio con 146 voti contrari alla tagliola, grazie a due soli senatori, ma le incognite del voto segreto incombevano. I voti mancanti all’apparenza sembrano essere quindi 15. Concretamente, tuttavia, il numero che circola tra i maneggioni del Senato, da Calderoli in giù, è diverso: 23. Ciò presuppone che tra gruppo misto e centrodestra ci sia stato più di un dissidente.

L’inquisizione del bene ha subito avviato la caccia alle streghe. Boccia, Provenzano, Zan e un gruppo sostanzioso della sinistra vera hanno additato Renzi come unico colpevole. Peccato che potrebbe non essere matematicamente così. Alla votazione erano presenti 10 senatori di Italia Viva su 16 totali, anche Renzi stesso era assente perché in Arabia Saudita. Ammesso e non concesso che abbiano votato tutti coi sovranisti, ma non è detto perché la dichiarazione di voto era opposta, potrebbero comunque mancare sette voti all’appello a seconda dei calcoli scelti. Difficili affibbiare la colpa esclusivamente a Italia Viva in ogni caso. Ciò presupporrebbe che i senatori giallorossi siano stati tutti presenti e favorevoli è tanto incerto quanto improbabile.

Considerato che, come vedremo, è plausibile immaginare qualche defezione in Forza Italia, è evidente che i primi a non essere compatti sono stati coloro che hanno rifiutato ogni minima mediazione. Hanno nei fatti rinunciato ad avere una maggioranza per motivi ideologici. Contrariamente a quanto proposto da Letta a Che tempo che fa, ovvero un’apertura alle modifiche pur di salvare il ddl, il relatore Zan ha ribadito la non modificabilità del testo. Con tutto ciò che ne è conseguito, fake news in falsa tinta arcobaleno incluse.

Il senatore dem Dario Stefàno, intervistato da Laura Cesaretti su Il Giornale, ha argomentato così: “Credo che la gestione di questo iter parlamentare sia stata sostanzialmente inadeguata e che il PD, ora più che mai, debba favorire un confronto interno”. É evidente che il ddl Zan sia andato a sbattere a duecento all’ora contro un muro e che nessuno abbia tentato di frenare. I franchi tiratori, a questo punto presenti anche tra i giallorossi per una questione puramente aritmetica, erano così probabili che nemmeno erano quotati. Basti pensare che Conte non si è minimamente speso per il disegno di legge. Addirittura si era rifiutato di rispondere quando interpellato, salvo piagnucolare dopo la bocciatura.

Cerno solleva il velo di Maya

Tommaso Cerno, eletto nel PD nel 2018 nonostante l’ostilità dichiarata verso Renzi e unico omosessuale dichiarato tra i giallorossi, in queste ore sta facendo molto discutere per la sua intervista a Libero relativa al ddl Zan. “É un suicidio assistito perchè il PD sapeva fin dall’inizio che questa legge non andava bene” ha spiegato l’ex vicedirettore di Repubblica. Secondo il senatore, il ddl Maiorino, proposto dal M5S, era decisamente migliore. Tuttavia Zan, e il PD per suo tramite, hanno insistito per intestarsi la battaglia, modificandolo di comune accordo con gli stessi cattodem che hanno poi affossato la legge.

Cerno non si è fermato qui. Ha aggiunto duramente di aver “detto e ridetto che Zan non è Mosè e quel testo non è quello del dio dei gay”. Inoltre ha dichiarato anche che al PD non interessa “l’orgoglio omosessuale, ma l’orgoglio di presentare leggi con il suo marchio”.

Un centrodestra quasi completamente compatto

Questo scenario, inoltre, presuppone una compattezza assoluta del centrodestra di cui non possiamo essere certi. Anna Maria Bernini, capogruppo di Forza Italia a Palazzo Madama, è stata una delle poche del centrodestra a non esultare e ha dichiarato che avrebbe preferito un dialogo costruttivo che, dal suo punto di vista, potesse migliorare la legge.

Simile la linea di GayLib che preso posizione in un comunicato: “Il PD si è preso a luglio non oggi, la responsabilità di affossare di fatto ogni speranza di approvare il ddl”. L’associazione, che riunisce i gay liberali, ha sostenuto inoltre che, pur rimanendo fermi sulla parte sulll’identità di genere, era necessario fare dei compromessi per ottenere l’approvazione finale. Dichiarata invece da questa estate la posizione favorevole di Barbara Masini, Forza Italia.

In sintesi, mentre siamo ragionevolmente certi che da Lega e FDI non ci siano stati voci fuori dal coro, in Forza Italia la situazione era decisamente diversa. Non è improbabile che in diversi si siano schierati contro la tagliola, ma questa eventualità, a dirla tutta non verificabile, alzerebbe il numero di franchi tiratori di sinistra. Tuttavia, la presenza del voto segreto rende congettura qualsiasi calcolo, analogamente alla diatriba tra IV e PD.

La sinistra sfrutta le persone LGBT+

Alla luce di quanto spiegato in questo articolo è evidente che al PD conveniva tirar dritto, perchè si è trovato in una situazione win-win. Nel caso in cui fosse passato il testo, avrebbe potuto ergersi a paladino dei diritti. Nel caso in cui non fosse passato, sarebbe stata colpa esclusiva dei fascisti (e di Renzi, of course). Non bisogna illudersi che, al di fuori della bolla degli addetti ai lavori e dei liberali, la gente comune abbia visto qualcosa di oltre la sceneggiata della destra e al presunto voto “di destra” di IV. Basta navigare dieci minuti su Twitter e Instagram per capirlo. La sinistra ha deliberatamente scelto di fare moral hazard con i diritti di una minoranza che dice di difendere, non c’è altro da aggiungere.

Ora, parliamoci chiaro, il ddl Zan non avrebbe cambiato d’imperio da un giorno all’altro la vita delle persone LGBT+. Le leggi non sono formule magiche, la qualità della nostra vita non precipiterà nè si impennerà. Ciò che è rilevante politicamente è la modalità in cui si è arrivati a tale bocciatura. Tutti hanno strumentalizzato la questione a proprio vantaggio. Ma mentre la destra si è comportata coerentemente con quanto propaganda da sempre, la sinistra ha usato le paure e problemi delle persone LGBT+ per raggranellare consenso.

Questa strategia a mio avviso è assolutamente stomachevole e reppellente, va stigmatizzata e condannata con tutta la forza possibile. Non vanno mai più votati, nemmeno una coalizione di cui fanno parte. Sono orridi. Non hanno nemmeno la decenza di prendersi le proprie responsabilità e scendono in piazza contro le famigerate destre, di nuovo. Mi sento usato.

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