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ATTENTI A DE ZERBI

25 Novembre 2020

La prima volta che ho visto Roberto De Zerbi era ancora un giocatore: ultimo anno di carriera al Trento, in Serie D. Giusto epilogo per una carriera sviluppatasi principalmente tra Serie B e Lega Pro, con qualche sparuta apparizione in Serie A con la maglia del Napoli. Ricordo ancora come De Paola, allora tecnico dei gialloblu, difendesse a spada tratta l’utilizzo in campo di un giocatore “appisolato” come De Zerbi. “Riesce a far giocare meglio chiunque, anche avesse una gamba sola lo metterei in campo”.

De Paola credeva talmente tanto in Roberto che, una volta ritiratosi e preso il patentino, spinse il Darfo Boario a ingaggiare De Zerbi come allenatore in Serie D. Fu un disastro, subentrò a campionato in corsa e retrocesse con diverse giornate di anticipo.

Una cosa però sorprese tutti: ogni giocatore, anche a posteriori, disse come quell’anno avesse imparato molto più di quanto avesse mai fatto nella sua carriera. “De Zerbi insegna calcio”, questo iniziò a vociferare nei corridoi delle società dilettantistiche.

Questa notizia arriva alle orecchie di una società che di “calcio insegnato” ne ha già avuto uno, e vuole ripartire da una figura simile: il Foggia. Il paragone con gli storici rossoneri di Zeman c’è e non si può evitare, ma De Zerbi non si spaventa: è convinto di potersi ritagliare il suo spazio in Serie C. Allena i “Satanelli” dal 2014 al 2016 raggiungendo due finali play-off (perse entrambe) e vincendo una Coppa di Lega, entusiasmando ed appassionando una piazza intera.

Perchè è evidente, De Zerbi ci sa proprio fare, coltiva le individualità per migliorare il collettivo. Inoltre è ambizioso, questa sua caratteristica lo porta quindi a licenziarsi nell’agosto 2016 a causa di differenze di vedute con la dirigenza.

Come già detto, Roberto è come il suo gioco: spregiudicato, senza timore reverenziale, “indipendente” da logiche esterne. Questo lo porta alla “prova del fuoco” su una panchina di Serie A. Ma il Palermo del patron “padrone” Zamparini è troppo lontano da un progetto che richiede tempo e pazienza. Dopo sette sconfitte di fila (record negativo del club siculo) viene sollevato dall’incarico.

La prima vera esperienza in Serie A è solo posticipata di un anno al 23 ottobre 2017 quando subentra a Baroni alla guida del Benevento.

Ecco la piazza giusta. Partiamo subito col dire che il Benevento retrocederà a fine stagione con appena 21 punti (quindi a livello di risultati un altro passo falso). Qualcosa nel corso della stagione però cambia. Il Benevento retrocede per evidenti mancanze della rosa, già a settembre il suo destino pare segnato. Da gennaio in poi però le “Streghe” fanno vedere un calcio che difficilmente prima d’ora si era visto proporre da una “piccola” della Serie A. Un calcio non offensivo/ totale, sia ben chiaro, ma un calcio maniacale e curato nei minimi dettagli. La squadra sembra quasi mossa da un joystick, non ha un “copione” scritto ma sa come comportarsi a seconda della situazione di gioco. Sembra un organismo unico. Il volto di quella squadra è quello di De Zerbi.

Mi ricordo ancora un episodio che rappresenta quello che è lui come allenatore, secondo me: San Siro, mancano 5 minuti ed il Benevento sta vincendo clamorosamente contro il Milan per 0-1. Un giocatore giallorosso spazza via la palla per non rischiare. De Zerbi salta su, si arrabbia e sostituisce il giocatore in questione. “Non capisco. La palla la avevamo noi, stavamo attuando il nostro piano di gioco. Non mi importa quanto mancava, quel pallone era nostro e tale doveva rimanere”. Chiamatelo pure esagerato, lui però fa capire come vede il calcio: il risultato è l’obiettivo, ma da raggiungere tramite un’idea ed un progetto, non tramite il caso.

Questo suo modus operandi non sfugge all’osservazione di una squadra che dopo essere diventata una realtà in Serie A vuole provare a “lasciare” qualcosa: il Sassuolo. Il Benevento va in Serie B, De Zerbi no.

L’ambiente giusto. Il Sassuolo è una squadra con una base già solida che può confermarsi in Serie A senza grossi affanni: il resto è tutto riguadagnato. Senza pressioni legati al risultato mister De Zerbi può finalmente coltivare il calcio che lui vorrebbe. Un calcio diverso rispetto alla classica “scuola italiana”.

Siamo ormai quindi alla terza stagione sulla panchina dei neroverdi. Dopo un undicesimo ed un ottavo posto De Zerbi è chiamato a confermarsi e a rafforzare il suo gioco. Ma in cosa consiste questo gioco? Quali sono i suoi cardini?

  • Gruppo unito. Nel calcio di oggi è effettivamente difficile poter iniziare un progetto tecnico con i continui cambiamenti dovuti al calciomercato. De Zerbi su questo punto è irremovibile: non può “insegnare” ogni 6 mesi a giocatori diversi. Il gruppo, salvo qualche aggiustamento, deve rimanere sempre quello. Questa richiesta si rivela più facile del previsto: ogni giocatore allenato da Roberto non vuole andarsene. L’appeal del mister bresciano è tale da allontanare le sirene di mercato per dei giocatori cresciuti esponenzialmente con lui: Locatelli, Boga, Berardi, Hamed Junior Traorè. Tutti giocatori che con la maglia neroverde hanno dato mostra (nell’ultima stagione) dell’enorme potenziale in loro possesso e che hanno deciso di rimanere, nonostante il Sassuolo non sia in Europa. Il gruppo è unito attorno alla figura del suo allenatore e questo si riflette in campo quando la squadra neroverde è tanto affiatata da sembrare, come detto in precedenza, un unico organismo.
  • Crescita. Ogni singolo elemento della rosa è migliorato come giocatore nel vero senso del termine. Potrebbe sembrare scontato come concetto, in realtà l’idea di mettere il miglioramento del singolo al primo posto non è per forza un diktat condiviso da ogni allenatore. In molti casi si assiste a giocatori costretti a cambiare (che è molto diverso dal migliorare) per diventare un meccanismo di uno schema già deciso a tavolino. Per De Zerbi invece il talento va esaltato, non “schematizzato”. Ogni giocatore è libero di proseguire la propria crescita individuale libero da ruoli predefiniti. La cosa importante, su cui De Zerbi punta tantissimo, è che la crescita sia condivisa anche col resto della squadra: ogni giocatore deve sapere quali sono i punti di forza del compagno, in modo da poterli esaltare. Questo principio funziona: Locatelli ad oggi è considerato il futuro della Nazionale italiana ed il suo valore con De Zerbi è aumentato di 23 milioni (dati transfermarkt); Berardi, che sembrava essersi oramai arenato nella spiaggia delle “meteore” ora vale sui 30 milioni; pure Djuricic che giovane non è (28 anni) ha visto alzarsi vertiginosamente il suo valore di mercato. La squadra deve esaltare il singolo, non viceversa.
  • Dominio. Il Sassuolo ha la seconda percentuale più alta di possesso palla della Serie A. Se si guarda una partita del Sassuolo si nota come la palla la hanno sempre loro, a prescindere dalla zona del campo: anche nella sofferenza, loro giocano la palla. Questo naturalmente va a causare problemi nel momento in cui hai di fronte un avversario più forte, ma come abbiamo già detto prima, De Zerbi come la sua squadra è spavaldo. Consigli è il portiere della Serie A con più passaggi all’attivo, proprio a sottolineare come persino dalla propria linea di fondo si cerchi di giocare sempre la palla (vedasi citazione di De Zerbi in quel Milan-Benevento di cui ho parlato poco fa). Il calcio come gli scacchi, si aspetta la opportunità per colpire tenendo però il costante controllo del gioco. Giusto però porre una distinzione: dominio e controllo non sempre coincidono con “occasioni create”. Il Sassuolo infatti, a livello meramente numerico, non produce molte occasioni. Però le sa sfruttare, sa come crearsi delle occasioni “sicure” (avere poi un attaccante come Caputo aiuta nell’ottimizzare le azioni pericolose). Basti pensare alla recentissima vittoria di domenica con il Verona, avversario difficilissimo, per 2-0: 4 tiri in porta, 2 gol. Questa vittoria non è stato un caso isolato, pure col Napoli ogni due occasioni si è riusciti a fare gol. Questo perchè tutti i giocatori “vedono” la partita nello stesso modo: sanno quando colpire e quando un’azione è effettivamente pericolosa. Questa “visione comune” si verifica poi nel pressing dove ogni giocatore sa dove mettersi per far faticare meno i vari compagni.

Per questo anche, guardando il Sassuolo, si ha l’impressione di vedere una squadra intelligente, prima ancora che spettacolare. In un’Italia calcistica dove si considerano intelligenti gli allenatori che sanno “portare a casa il risultato” (vedasi Gotti, per il quale comunque nutro una profonda stima), De Zerbi è una variante impazzita che può davvero fare da spartiacque nella cultura italiana.

Quali sono i limiti del calcio prodotto dal Sassuolo? Partiamo dal fatto che De Zerbi sta crescendo lui stesso insieme a questa squadra e che quindi potrà andare limando questi difetti (parliamo di un allenatore di 41 anni). Questo Sassuolo prende ancora molti gol pesanti: nel suo primo anno la difesa dei neroverdi è stata la terza più battuta del campionato; anno scorso la porta di Consigli è stata la settima più “colpita”. Al momento c’è da dire come invece il Sassuolo abbia la terza migliore difesa, va però sottolineato (come ha fatto De Zerbi dopo Sassuolo-Torino 3-3) che i gol subiti sono sempre pesanti: non capita che il Sassuolo prenda gol su situazioni di vantaggio per 3-0 (facendo un esempio). I gol subiti dai neroverdi hanno sempre un peso enorme sull’economia del match.

Questo come mai? Mancanza di concentrazione? Non sembra a vedere la squadra. Pare piuttosto che nel DNA neroverde manchi ancora il gene del sacrificio. Quando il Sassuolo deve difendere il risultato è sempre in affanno, non riesce mai a “respingere” gli assedi avversari in maniera efficace: contro le squadre dal grande peso offensivo questo fa la differenza. Se il Sassuolo non riesce ad uscire palla al piede dalla propria trequarti va in difficoltà.

Prima ho nominato Gotti, allenatore dell’Udinese; ecco, lui è riuscito per tre incontri di fila a non subire gol dal Sassuolo: i precedenti sono 3-0 e 1-0 (entrambi in favore dei friulani) e 0-0 nella stagione attuale. La squadra di De Zerbi ha ancora difficoltà ad avere la meglio con le classiche squadre “all’italiana”. Gotti infatti è un allenatore che propone un calcio estremamente difensivista ed attento a non concedere spazi. Se nel Sassuolo contro questo tipo di squadre non “girano perfettamente” Boga, Djuricic e Berardi (le individualità più dotate dal punto di vista tecnico nell’ 1vs 1) il Sassuolo non riesce ad incidere.

Il possesso palla rimane comunque armonioso e preciso, ma fine a se stesso. Va quindi trovato un altro modo per scardinare queste partite ostiche senza risultare ripetitivi (il Sassuolo è la squadra che crossa meno in Serie A, non si contempla la palla “della disperazione” buttata in area che talvolta può regalare risultati insperati).

Ora il Sassuolo è secondo, a meno due dal Milan. In una Serie A così confusa De Zerbi ed i suoi neroverdi possono presto trasformarsi in una certezza.

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