Nell’ultima settimana l’opinione pubblica si è abbeverata del dolore altrui, l’ha usato come un feticcio e i media hanno alimentato questo meccanismo perverso. Mi riferisco a tre fatti, due recenti e uno storico. La tragedia scampata da Eriksen in Danimarca-Finlandia, la strage del Mottarone e la storia di Alfredino, vittima del purtroppo famoso incidente di Vermicino.
I fatti
Allo scadere del primo tempo della prima partita a Euro2020 della Danimarca, Christian Eriksen, stella dell’Inter, ha perso i sensi. Dopo un primo soccorso del capitano, Simon Kjær, sono entrati i medici che hanno riportato in vita il fantasista, mentre una cortina formata dai compagni di squadra lo proteggeva dalla vista di spettatori e telecamere. Sono stati momenti agghiaccianti, fortunatamente superati. Ora Eriksen sta bene, è stato dimesso e non si esclude che possa tornare a giocare a pallone.
Meno fortunate sono state le vittime della strage del Mottarone. Il 23 Maggio ha ceduto la fune traente della funivia che collega Stresa con il Mottarone, causando la caduta di una delle cabine in transito. All’interno erano presenti 15 persone, quattordici sono morte e una è rimasta gravemente ferita.
Infine, bisogna ricordare la morte di Alfredino, anche se risalente a ormai quarant’anni fa. Alfredo Rampi era un bambino caduto in un pozzo artesiano vicino a Frascati, lungo la via di Vermicino, che la collega a Roma. Dopo quasi tre giorni di inutili tentativi di salvataggio, il bambino morì dentro il pozzo a una profondità di circa 60 metri. Questa vicenda è tornata agli onori della cronaca a causa della miniserie che Sky ha prodotto e che andrà in onda a breve.
La speculazione sul dolore
Cosa accomuna questi tre avvenimenti molto differenti tra loro? L’approccio ossessivo che i media hanno avuto nei loro confronti. Faccio qualche esempio.
Durante i soccorsi a Eriksen alcuni grandi giornali hanno iniziato a rilanciare i video dello svenimento. Il Corriere della Sera ha addirittura pubblicato due tweet identici per aumentare le interazioni. Fanpage ha pubblicato un articolo, poi rimosso, nella sezione gossip nei momenti più tragici che speculava sull’identità della moglie del giocatore, che in quegli istanti era disperata a bordocampo. Quanto era davvero necessario un pezzo acchiappa click?
Il TG3 ha pubblicato in esclusiva un video delle telecamere di sorveglianza, che non linko volontariamente, che mostra la dinamica con cui la cabina della funivia ha prima perso il controllo e poi si è schiantata a terra. Dopo pochissimi minuti il video era virale e gran parte delle testate più importanti lo stava rilanciando. Il procuratore capo di Verbania ha diffuso in una nota in cui stigmatizza la pubblicazione da parte dei mezzi di informazione di tale video.
Il caso di Alfredino nel 1981 ebbe un grandissimo risalto mediatico nel 1981 perché fu la prima grande diretta, ininterrotta sulle ultime 18 ore del caso, della Rai. Sul posto si presentò anche l’allora Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, che arrivò a intralciare le operazioni di soccorso per quella che non esito a definire una mania di protagonismo. A trent’anni di distanza, ci sono ancora milioni di spettatori a cui verrà data in pasto la tragedia, sotto una nuova forma, più sexy, per i nostri tempi.
Contro il feticismo del dolore
C’è un filo sottile che scinde la pura cronaca dalla speculazione, ma esiste. Non mi sognerei mai di arginare il diritto di cronaca, tanto quanto non pretendo che tutti i direttori dei giornali più importanti agiscano come avrei fatto io. Voglio solo invitare l’opinione pubblica, o almeno quella piccola fetta che posso raggiungere, a ragionare sull’opportunità di tali atteggiamenti.
Perché la verità è, cari lettori, che si può scegliere. Il telecronista di Sky Sport che stava commentando Danimarca-Finlandia, Andrea Marinozzi, ha deciso di non parlare. Le immagini dello svenimento non sono state riproposte e la narrativa si è concentrata sulle gesta veramente eroiche di Kjær. Avvenire, per citare solo uno dei quotidiani che l’ha fatto, si è rifiutato di pubblicare il video della funivia. Marino Bartoletti, storico giornalista Rai, si è spinto a dire che in quei giorni del 1981 “non si sentii italiano” e che “di certo non guarderà” la miniserie di Sky.
Ho lasciato le mie considerazioni per ultime, perché su temi simili è bene riportare innanzitutto i fatti ed evitare di polarizzare il discorso dal principio. Credo una classe dirigente minimamente seria non debba permettersi di lanciare il dolore altrui nelle fauci del pubblico, lo trovo ributtante. Analogamente a come, a mio avviso, non è accettabile dare in pasto alla folla chiunque sia solo indagato o riceva un avviso di garanzia.
Il rispetto del dolore di chi ha fatto personalmente fronte a queste tragedie dovrebbe essere totale ed è irrilevante se pure la cronaca non sarà perigliosamente dettagliata. Le nuove vittime sono diventate la moglie di Eriksen, i familiari delle vittime della cabina caduta e i genitori di Alfredino. Coloro che, oltre a dover far fronte a un dolore privato enorme, si trovano obbligati a gestire una pressione pubblica sproporzionata e inopportuna.
Sono consapevole che questo comportamento deriva anche dalle dinamiche di mercato che tanto apprezzo, ma va sempre ricordato il ruolo della responsabilità individuale. Degli spettatori, quanto dei cronisti e dei direttori. La libertà senza responsabilità e rispetto è solo una scatola vuota in cui, tra le altre cose, il feticismo del dolore prospera, ma il dolore di più.
Analisi lucida e corretta. A dire il vero, tuttavia, capita anche che le vittime, diventino poi protagonisti del feticismo. Da genitore, non avrei permesso una mini serie sulla morte di mio figlio.