Su AlterThink Leonardo Marchesini ha pubblicato un articolo circa il “rally ‘round the flag effect” mostrando come con l’avvento di crisi esogene l’indice di gradimento verso i leader politici tenda a aumentare in maniera significativa. Oltre alle fondamentali domande di ordine politico ce n’è una che merita maggiormente la nostra attenzione: qual è il tempo della crisi?
Il tempo presente della crisi.
Prima di rispondere alla prima domanda occorre rispondere alla seconda. Innanzitutto specifichiamo che il “tempo della crisi” non è la quantità di tempo in cui la crisi perdura, ma quel particolare orizzonte cronologico in cui la crisi ci costringe a operare. Un evento improvviso, come una pandemia o una guerra, difficilmente lascia la possibilità di ritardare le decisioni da prendere per fronteggiare il problema. Da un punto di vista politico è lasciato poco spazio per la discussione o per l’interazione tra i vari attori che compongono la realtà politico-sociale di una nazione. Le cose accadono improvvisamente in luoghi spesso distanti dal diretto controllo di coloro che dalla crisi verranno investiti. La crisi può avere un tempo di gestazione lungo, ma una volta esplosa produce degli effetti immediati che continuamente vanno gestiti. La differenza tra passato e futuro si auto elimina. La crisi ci impone di pensare e ripensare il tempo presente, l’accadimento contingente.
Usando una metafora di senso comune potremmo dire che la crisi colpisce come un fulmine a ciel sereno. Tale fulmine però origina un incendio di proporzioni più o meno vaste da gestire rapidamente. La crisi è dunque una scissione che pone immediatamente un interrogativo agli attori del presente.
Sovrano è chi decide nello stato d’eccezione.
Facciamo un piccolo, piccolissimo, sforzo di astrazione. Immaginiamo che non sia mai esistita alcuna forma di governo se non la democrazia liberale; che fin dall’apparizione dell’uomo si sia sempre andati alle urne, guardato dei talk show con i confronti tra i politici e questionato riguardo all’elezione di un leader. A questa innata condizione politica applichiamo la definizione data da Carl Schmitt, giurista e filosofo tedesco del XX secolo, circa la figura che governa e comanda. Dice Schmitt che “sovrano è chi decide nello stato d’eccezione“. L’affermazione è contenuta nel saggio Teologia politica I ora contenuto in Carl Schmitt, Le categorie del politico, Il Mulino, Bologna. Ci sarebbero infinite questioni filosofiche e filologiche da approfondire a proposito di tale affermazione; non possiamo affrontarle in questa sede, ma sicuramente si potrà dedicare un approfondimento a questo titano del pensiero.
Autorità è chi decide nello stato d’eccezione.
Dicevamo che sovrano è colui che decide nello stato d’eccezione, tuttavia sovrano è una parola che a noi, uomini da sempre organizzati democraticamente, risulta estranea. Proviamo a sostituirla con la parola autorità. La frase sarà così: autorità è colui che decide nello stato d’eccezione. Ebbene resta da chiedersi qual è lo stato d’eccezione. Per Carl Schmitt, lo diremo in estrema sintesi, lo stato d’eccezione è lo stato di pericolo in cui viene minacciata la vita di un gruppo da parte di un nemico. Questa definizione, seppur qui solo accennata, ben si sposa alla retorica bellica con cui molti parlano dell’attuale crisi dovuta al Covid-19. Il nostro esperimento mentale ci consente di trovare una scappatoia anche rispetto a questa definizione. Ipotizziamo, ancora, che il consorzio umano non abbia mai conosciuto quello che i giusnaturalisti di età moderna chiamano lo stato di natura. La condizione pre-politica in cui gli individui vivono liberi e uguali e tuttavia nulla assicura loro la conservazione dei loro diritti o addirittura della loro vita. In tal senso è celebre la massima di Hobbes per cui l’uomo sarebbe un lupo per l’altro uomo. Ebbene nel nostro esperimento mentale tale costruzione non esiste. La vita è già da sempre garantita grazie alla condizione politica in cui gli uomini hanno vissuto e tutt’ora vivono. La vita e i diritti sono quindi da sempre garantiti e fatti salvi e gli uomini possono concentrarsi sulla futuribilità dell’esistenza. Tuttavia nel nostro esperimento mentale sono tre gli elementi che non possono venir meno: autorità, stato d’eccezione, decisione. In altre parole, nonostante da sempre si viva nel migliore dei mondi possibili ci sono dei problemi e qualcuno che ai problemi deve far fronte prendendo delle decisioni.
Autorità, stato d’eccezione, decisione e futuribilità.
Usciamo ora dal nostro esperimento mentale. Torniamo alla nostra quotidianità. L’autorità la definiremo come la persona o le persone titolate a prendere una decisione e a risolvere lo stato d’eccezione che, a differenza di Carl Schmitt, definiremo come quel particolare momento in cui a far problema non sono né il passato, né tanto meno il futuro, ma il presente. In vero la differenza con Schmitt è solo questa: se per Schmitt lo stato d’eccezione è lo stato di massimo pericolo in cui l’uomo si trova a fronteggiare la sua possibilità più possibile, la morte; per noi sarà quel particolare stato dove a essere messa in questione è la vita in quanto tale e non solo per via del pericolo della morte. A essere messo in questione è il progetto, la futuribilità. Facendo pendere la nostra bilancia teorica dal lato della vita la prospettiva si rovescia al punto tale in cui potremmo dire che la certezza è la vita e la morte la scommessa. Vita che cerca di trasporsi nel futuro, non per preservarsi rispetto all’angosciosa consapevolezza della morte, ma per conservarsi attraverso il progresso. Che questo progresso sia giusto o sbagliato è una questione non spetta a noi, in questa sede dirimere. Ma come riportato da Open-giornale online secondo uno studio dell’ UNDP (Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo) la crisi causata dal Covid-19 sta invertendo l’indice dello sviluppo umano, aumentando le disuguaglianze. Il problema non è però solo economico. La crisi pone in dubbio anche l’esperienza di vita degli uomini, che viene bruscamente interrotta da un caso eccezionale: la crisi, appunto. La crisi astrae il presente, lo interroga e oblia il futuro, costringendo il progresso della vita a una svolta temporale, un ripiegamento in cui la decisione non è più eminentemente progettuale, ma contestuale: ora, a questa crisi, si deve rispondere. Qui entra in gioco l’autorità che soggettivamente accettata in quanto scelta, seppur in via indiretta, è chiamata a rispondere alla domanda contestuale del presente per superare la crisi e poter così pensare al futuro. L’autorità è titolata a farlo in base a quel principio d’autorità per cui chi è investito dell’autorità è nella condizione per organizzare o regolare il percorso progressivo da condurre, controllato seppur indirettamente da chi la riconosce. Tuttavia la crisi, come eccezione, sembra invertire il ruolo dell’autorità e attraverso la decisione da prendere la chiama a farsi principio. L’autorità è così colei che rispondendo alla domanda critica, la domanda del tempo presente, può invertire nuovamente il corso del pensiero e dirigerlo verso il futuro. Ma la domanda che ci poniamo è la seguente: questo nuovo principio, questa risposta, sarà in grado di rendere ragione alle domande del futuro? Coloro che hanno accettato questa autorità perché non la riconfermano anche dopo la crisi? L’ipotesi che avanziamo è la seguente: perché l’autorità che decidendo si è fatta principio è causa della ripartenza verso il futuro, ma gli effetti non le appartengono, anzi la superano e appartengono al futuro e alle sue sfide. Il presente si fa passato, il principio dimenticato e il futuro diventa nuovamente ciò che è da salvaguardare.