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STORIA DEL SASSO SONNY

27 Maggio 2020

Racconto tre momenti della vita di un sasso di nome Sonny, tutti caratterizzati da estrema violenza, per dare voce al suo punto di vista.

Leggendo un articolo di AlterThink della settimana scorsa, mi sono accorto di quanto un tempo il nostro rapporto con i sassi fosse quotidiano, naturale. A questo si è aggiunto un altro evento: guardando l’ultima stagione di The good place (NON C’È SPOILER), un piccolo elefante fatto di luce rivelando segreti dell’universo afferma: “Stonehenge was a sex thing“. Sono morto dalle risate. Così mi sono convinto che raccontare la storia di un sasso possa essere comunque interessante; lo sarà sicuramente quella del nostro protagonista.

Sonny venne al mondo come un sasso normale, come ce ne son tanti: di origine proletaria, non molto prezioso; alla nascita fisicamente spigoloso, al contrario della sua personalità, la quale invece si dimostrò sin da subito quieta. Tuttavia, come accade a quasi tutte le persone e ai sassi, la vita lo ha limato, ha arrotondato quegli spigoli, non sempre dolcemente.

Ahimè io della sua storia conosco, perdipiù indirettamente, soltanto tre battiti di ciglia, tutti compresi tra il novembre 1943 e il maggio 2014. Partiamo dunque.

Così iniziò

Le prime notizie di Sonny rimandano appunto al novembre 1943. Lui si trovava a Santa Maria Nuova (AN), e per la precisione in via Caduti del Fronte Russo. Davanti ai suoi occhi si stava svolgendo una scena abbastanza consueta: due gruppi di ragazzini appena adolescenti si fronteggiavano a suon di sassate. La questione? semplice campanilismo. E lui, sebbene si trovasse proprio nel mezzo della sassaiola, non era preoccupato: se ne stava in disparte, osservava.

Però, a un certo punto il terreno iniziò ad allontanarsi dai suoi occhi. L’avevano preso. Dopo un istante di pace, di lento caricamento, venne scagliato a grande velocità. Tutto girava. Nausea. Toc! Aveva urtato addosso a qualcosa, qualcosa di non troppo duro. Era un labbro, e precisamente il labbro di mio nonno. Sonny cadde a terra macchiato di sangue, rosso. Mio nonno, appena tredicenne, sentì il dolore e cercò di capire quanto fosse grave il danno. Ma non si fermò per molto. Con il dolore gli montò anche la rabbia. E con la rabbia non si ragiona, non si è lucidi. Così nonno cercò qualcosa da scagliare a sua volta. Il suo occhio cadde proprio su Sonny: era l’unico sasso rosso a terra, troppo facile da individuare.

Una speranza irrealizzabile

Ecco, in questo momento vorrei che mio nonno quel giorno si fosse messo in tasca Sonny, così per ricordo. Invece non è andata così, e per ricordo non è rimasta che la cicatrice sul labbro superiore ancora oggi ben visibile.

Mio nonno era furibondo. Lo raccolse e lo scagliò con una forza tale che Sonny si impennò su nel cielo e ben presto tutti lo persero di vista. Saliva, su, su, sempre più in alto. Per un momento gli sembrò di essersi fermato, di volare, ma ben presto iniziò a scendere. Mio nonno doveva essere veramente arrabbiato perché lo scagliò così forte che cinquantadue minuti dopo Sonny atterrò in una terra diversa, distante.

L’aria si scalda, ancora…

Era caldo per quanto fosse ormai novembre. Il nostro protagonista era atterrato in un tratto di strada ghiaiosa, poco curata, nei pressi di un paesino siciliano, Capaci. Tuttavia a lui sembrava di aver trovato il paradiso: non c’era gran movimento e il sole era abbondante. Stava così bene che rimase così per quasi venti anni, finché nel 1972 arrivarono i lavori per la costruzione dell’autostrada A29. Certo non poteva immaginare la violenza che dopo altri venti anni di serenità si sarebbe scatenata in quel posto, il 23 maggio 1992. Verso metà pomeriggio. Un boato spaventoso.

È dai giornali e telegiornali che mi è giunto questo episodio della vita di Sonny. Lui assistette in prima persona alla Strage di Capaci. Eppure con la detonazione se ne volò via di nuovo e non poté assistere a tutto quello che ne seguì. Lo strazio delle famiglie dei magistrati Giovanni Falcone e Francesca Morvillo e degli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro; i funerali; i processi e le condanne; lo shock e la rabbia di un Paese. A motivare quell’attentato però non era stata solo rabbia. La rabbia è sincera, non la si cova a lungo, e non è necessariamente cattiva. A Capaci invece l’Italia toccò per l’ennesima volta uno dei punti più bassi della sua storia. E tutta quella malvagità scagliò Sonny molto, molto più lontano.

…e ancora.

È così che arriviamo all’ultimo blocco della storia di Sonny. Siamo in Etiopia molti anni dopo, nel 2014; e a parlarmene questa volta è il mio attuale coinquilino, tale E.. A partire dalla fine del XX sec. l’Etiopia è stata politicamente poco stabile e ha progressivamente garantito sempre meno diritti, ledendo in primis quelli alla libera espressione e informazione. Nel complicato groviglio politico-culturale etiope, lo sviluppo economico e la morte del da-lungo-tempo primo ministro Meles Zenawi portarono dal 2012 ad un aggravamento della situazione, che sfociò in proteste pubbliche e forti repressioni da parte delle forze di polizia.

In quei giorni di proteste E. era ancora in Etiopia, e precisamente ad Ambo. Si trovò in una delle manifestazioni anti-governative di quei giorni, e mi ha raccontato di come lui sfrecciasse tra un riparo e un altro per proteggersi, mentre le forze dell’ordine sparavano ad altezza uomo. Lì per lì mi ha colpito il trasporto giocoso con cui E. enfatizzava l’atto; eppure mi rendevo ben conto della drammaticità della scena. Nella fuga, anche a lui più di una volta capitò di raccogliere un sasso, voltarsi e scagliarlo contro le forze dell’ordine.

La quadratura del sasso

Anche questa volta, come all’inizio di questo mio racconto, avrei preferito che E. si fosse messo Sonny in tasca, per ricordo. Ma così non è andata. Sasso dopo l’altro, anche Sonny venne scagliato in aria, per l’ennesima volta, e Dio solo sa quanto sia andato distante questa volta.

Oggi Sonny è disperso. Io non l’ho mai incontrato, eppure la sua storia ci insegna qualcosa: ai sassi piace stare fermi. E se non fosse per gli umani, loro non volerebbero; potrebbero raccontarci le proprie storie, e troverebbero finalmente il paradiso in Terra.

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