La figura, politicamente pessima e squalificante, fatta a Padova dal segretario del Partito Socialista Italiano lo scorso 29 giugno è solo l’ultima di una lunga serie che coinvolge lui e diversi altri capi e dirigenti di partito. Nella sala dedicata ai caduti di Nassiriya, Enzo Maraio è stato lasciato solo insieme agli altri relatori e al moderatore dopo una contestazione politica di natura territoriale e generazionale.
Il tema politico era sulle prospettive venete relative all’autonomia differenziata: chi avrebbe dovuto aprire i lavori, dopotutto, se non un dirigente politico del Veneto? Invece no. Richieste più volte fatte dal relatore Giuseppe Maria Toscano, giovane segretario vicentino del PSI, e dalla platea, soprattutto dal segretario regionale veneto della FGS Andrea Comberlato, ignorate. La polemica creata per gli atteggiamenti del segretario nazionale del PSI e del moderatore ha visto la sala svuotarsi. Lasciando Maraio a parlare a una platea praticamente vuota.
Ovviamente, questo problema non esiste solo nel PSI, dove però è molto forte, ma in moltissimi partiti. Quasi tutti. Il problema celato dall’atteggiamento politicamente squalificante del segretario Maraio è il triplice problema politico che abbiamo in Italia: problema generazionale, problema territoriale, problema ideologico.
In Italia c’è un problema di difformità nella declinazione ideologica, o pseudo tale, nelle forze politiche. La cultura ideologica è stata ripresa, infatti, nelle realtà giovanili in forza di quello che il compianto Luigi Covatta, politico e intellettuale scomparso un paio d’anni fa, ribattezzò “alleanza nonni – nipoti”. Questo ha portato alla formazione, per esempio, di uno dei migliori politici dem oggi su piazza: Giuseppe Provenzano che, in un mondo di Occhetto, D’Alema, Fassino, Veltroni, Franceschini, Bersani eccetera, è stato cresciuto politicamente dallo scomparso Macaluso. Non a caso, nel suo commiato, ha efficacemente detto che le nostre generazioni sono cresciute da nonni politici perché non abbiamo avuto padri politici degni.
Il ritorno all’ideologia ha creato una frattura: la visione filosofica è fondamento dell’analisi della realtà contrapposta alla praticità del “primum vivere”. Le classi dirigenti degli ultimi trent’anni, compresa l’attuale, hanno vissuto di semplificazioni “impermeabili” dell’offerta politica e di conservazione di posizioni, di rendita o di potere.
Questo ha portato a una vetustà istituzionale che rende impossibile, o comunque difficile, la comprensione della modernità e l’analisi dei fenomeni complessi. Così, banalmente, l’omicidio colposo commesso da un gruppo di youtuber diventa la scusa per una crociata anti-informatica contro l’utilizzo dei social e contro i content-creator del web.
C’è inoltre un problema generazionale che non è di poco conto. Ai giovani i dirigenti dicono sempre “Voi siete il futuro”. Invece no. I giovani non sono quel futuro che non arriva mai, e per cui nessuno si vuole concretamente prodigare. I giovani sono il presente. E la generazione politica cresciuta dai “nonni politici” a politica e ideologia, invece che a comizi e coreografie, ha potenzialità infinitamente maggiori. Lo dimostra l’esito del voto in Grecia: il Movimento Socialista Panellenico, guidato da un segretario politico trentaduenne Manolis Christodulakis, con un’alleanza di un fronte laico di socialisti, socialdemocratici, liberalsocialisti e liberaldemocratici, esce dalle secche di una crisi lunga undici anni. Come? Rompendo gli schemi classici e imponendo sé come forza ragionevole di centrosinistra in un blocco composito.
Proposte pratiche, ideologicamente orientate, entusiasmo e competenza. Questa è la gioventù politica. Anche in Italia, per lo più lo è. Ai giovani divenuti grandi cresciuti a feste di partito, coreografie ai comizi e asservimento acritico al leader di partito o di corrente, si contrappongono le nuove generazioni. Quelle cresciute non andando ai comizi di qualche leader internazionale o contrastando qualche politico della propria parte perché mainstream. Non questo genere di giovani.
Giovani pensanti. Giovani che fanno politica, sapendo farla, anche se senza gli strumenti economici di cui prima la politica era dotata. Giovani che si contrappongono a segretari, capi di partito, capi bastone, capicorrente che li vorrebbero esclusivamente come coreografia per comizi e cavolate di partito, ma che non accettano le voci critiche. Che, quasi sempre, alla lunga hanno ragione. Come la FGS, per esempio, ha dimostrato al PSI e a tutto il mondo trasversale riformista che la osserva.
A questi due nodi si collega il terzo problema: quello territoriale. Dirigenti tali non per capacità politica o per abilità, ma per “controllo di tessere”. Poco importa come siano queste tessere. Negli ultimi quindici anni abbiamo visto tesserati ai partiti persone morte o persone inconsapevolmente iscritte, come dimostrato da diversi servizi di Striscia la Notizia. Per lo più nel centro-sud e sulle isole.
Baroni delle tessere che tengono il controllo del partito sui territori, o eletti a pseudo-primarie tutt’altro che trasparenti, o ancora nominati dall’alto. Sono davvero pochi i dirigenti territoriali realmente espressione dei territori. Penso, tra i socialisti, a Mortandello nel Veneto e a Repeti in Toscana.
Ma nei partiti non esiste solo questo genere di problema. Esiste anche lo scollamento totale dei partiti dai territori. Voci del territorio non ascoltate, anzi spesso calpestate e irrise dai dirigenti nazionali. O da dirigenti territoriali che possono tutto, se allineati coi “capi”, ma che non fanno fare nulla a chi non è allineato.
I tre problemi sono tra loro connessi. I giovani sui territori esprimono attività propulsiva e propongono adozione di provvedimenti utili e funzionali ai giovani e non solo, ma vengono ignorati quando non servono a fare coreografia. Anzi, vengono combattuti, come i territori non allineati, e come la ragionevolezza dell’analisi ideologica, contrapposta alla pragmaticità delle alleanze e delle posizioni di rendita.
Questo erode i consensi, non dà più un sogno da sognare o una lotta da combattere e ricopre di ridicolo i partiti.
Partiti che maltrattano i giovani, che li applaudono usandoli come coreografia o li calpestano quando fanno politica. Partiti che maltrattano i territori, quando non allineati o non asserviti alla linea dei capi pro tempore. Partiti che hanno perso la loro ideologia, smarrita tra le maglie di iscritti da generazioni e sacrificata sull’altare del primum vivere. Partiti che hanno perso la loro funzione storica e che, incapaci di rinnovarsi dopo il fallimento, si trascinano come carcasse zombificate in putrefazione scollate dalla realtà. Poco importa chi sia il segretario: se figlio di quella logica dell’unisono e dell’utilitarismo non farà nulla per cambiare e tutto per salvare.
Ma non si salva dalla morte un cadavere.
Come rinascere? Dai giovani, dall’ideologia e dai territori. Cosa che i partiti dimostrano di non sapere (o volere) fare.
vedi il commento del 1 .07 .23 sopra scritto
Ho letto nelle notizie che il Segretario Regione invece di confrontarsi con il Segretario Maraio, è andato via dalla riunione rifiutando sostanzialmente il congresso sulle decisioni della Commissione di Garanzia e della Direzione Nazionale.
Ha scelto di continuare nella guerra contro il nazionale al posto del confronto per una equa soluzione.
Tutti rivoluzionari del cavolo.
Tutto da sottoscrivere, aggiungerei solo che è tempo di formalizzare anche giuridicamente la struttura che deve avere un partito e I suoi obblighi e poteri nei riguardi degli iscritti oltre che la pubblicità degli atti deliberati ecc..