Pride di Istanbul 2012 - via Wikimedia Commons

Elezioni in Turchia: una svolta per i diritti civili?

4 Maggio 2023

La campagna elettorale in Turchia è ormai entrata nel vivo, a meno di due settimane dal voto del 14 Maggio. Quest’ultima fase non è iniziata nel migliore dei modi per il presidente in carica, Recep Tayyip Erdogan, colpito da un malore durante un’intervista in diretta TV nella sera del 25 aprile che lo ha costretto ad annullare gli impegni elettorali per ben quattro giorni.

Ad alzare i toni ci ha pensato comunque il suo ministro dell’interno Süleyman Soylu, uno dei politici più potenti e popolari dello schieramento al governo, che nei suoi comizi ha rivolto all’opposizione gravi accuse fondate più che su elementi concreti, sulla ricerca dello scontro, della provocazione, e della polarizzazione nella società. Una narrazione, comune a molte leadership populiste nel mondo, adottata ormai da diversi anni da parte della coalizione al governo in Turchia, che mira a compattare il proprio elettorato conservatore e nazionalista soprattutto di fronte a un’opposizione che – come scrivevamo – punta su una campagna elettorale e un linguaggio dai toni positivi, inclusivi e conciliatori.

Da un lato, le parole pronunciate da Soylu a Istanbul il 28 aprile e riassunte in un suo tweet gettano ombre sulla possibilità di accettazione di un’eventuale sconfitta da parte dell’AKP. Con le sue parole, infatti, ha insinuato che ciò che l’opposizione sta organizzando per il 14 Maggio, in combutta con forze esterne (gli USA su tutti), sia «un tentativo di colpo di stato politico per disintegrare la Turchia». Secondo questa narrazione, gli elettori dell’opposizione non starebbero esercitando una legittima libertà di espressione e manifestazione del dissenso, ma esprimendo il sostegno a un progetto eversivo di distruzione della nazione.

Dopo aver dato prova della propria interpretazione delle prerogative democratiche, sempre a Istanbul Soylu ha riaffermato la necessità di porre limiti alla concessione dei diritti civili:

«Non voglio che nel mio Paese gli uomini si sposino con altri uomini, e le donne con altre donne. […] Sapete, quando loro [l’opposizione] dicono LGBTQ+, includono anche il matrimonio tra animali e umani. Sono completamente asserviti all'America e all'Europa […] che promuovono un modello di persona alimentato dalle televisioni, soggetto a un'unica religione universale, senza genere né struttura familiare. Non possiamo dire di sì a questo modello».

L’insistenza su questi temi della campagna elettorale è l’occasione per affrontare una questione: qual è la situazione dei diritti e delle libertà in Turchia? Cosa propone l’opposizione e verso quale direzione promette un cambiamento?

la Situazione dei diritti oggi

La situazione odierna è purtroppo ben nota all’opinione pubblica internazionale, alla quale si presenta come un susseguirsi di censure, condanne arbitrarie, violazioni di convenzioni internazionali e trattati.

Come riassumevamo qui, i maggiori think-tank e centri di ricerca internazionali collocano la Turchia tra i peggiori Paesi al mondo in termini di regressione dei diritti e delle libertà, e la considerano un paese “non-libero” e non più una democrazia elettorale. Mai nella storia turca si era verificato un periodo di declino della qualità della democrazia lungo quanto quello verificatosi sotto le ultime 5 legislature guidate dell’AKP. Questo declino è stato scandito dall’emergere di una moltitudine di casi di cronaca politica e giudiziaria dalla grande risonanza internazionale, dietro ai quali si cela una quotidianità fatta di episodi “qualitativamente” (in termini di celebrità delle vittime coinvolte) inferiori, ma quantitativamente molto più estesi.

È il caso, ad esempio, delle prolungate e ingiuste carcerazioni – così condannate da parte dei tribunali internazionali – di celebri oppositori politici, come il leader del partito HDP Selahattin Demirtaş, e l’imprenditore e attivista per i diritti umani Osman Kavala. Dietro questi casi eclatanti, la restrizione dei diritti politici ha assunto ormai le caratteristiche di sistematicità e arbitrarietà, come dimostrano gli arresti dei sindaci eletti dall’HDP nei comuni del Sud-Est dell’Anatolia e sostituiti con commissari di nomina governativa (dei 65 comuni conquistati nelle elezioni del 2019, all‘HDP oggi ne rimangono appena 6), la probabile sentenza della Corte Costituzionale di chiusura dello stesso HDP (che per questo il 14 Maggio ha candidato tutti i propri membri nelle liste del Partito Verde della Sinistra), o ancora i molteplici arresti di giornalisti d’opposizione, che hanno reso la Turchia il secondo stato al mondo per carcerazioni di giornalisti, secondo il report 2020 del “Comitato per la Protezione dei Giornalisti”.

Un altro caso che di recente ha suscitato scalpore anche in Italia e in Europa è il decreto presidenziale firmato da Erdoğan il 20 marzo 2021 per ritirare la Turchia dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza domestica e di genere.

Ma ancor prima che questa decisione clamorosa venisse presa, molte donne in Turchia già vivevano una condizione di preoccupante disparità e oppressione. Secondo i report del media indipendente turco “Bianet”, quasi una donna al giorno perde la vita in Turchia  in episodi di violenza di genere: i carnefici sono, nel 90% dei casi, membri della famiglia, e nel 72% i mariti/compagni delle vittime. Le parole sopra riportate del ministro Soylu ben sintetizzano la concezione che il governo ha sui diritti LGBT+, la cui manifestazione pubblica è non solo scoraggiata, ma anche duramente repressa nelle sue forme collettive, come dimostrano le dispersioni violente da parte delle forze di sicurezza dei cortei che annualmente vengono convocati per celebrare il Pride.

Più in generale, l’esercizio di varie forme di repressione da parte del governo pone dei limiti stringenti all’esercizio dei diritti e delle libertà d’espressione, di dissenso, di opinione. Ciò diventò evidente agli occhi del mondo già 10 anni fa a Gezi Parkı, quando la decisione di Erdoğan di porre fine con la forza al movimento di protesta radunatosi nell’omonimo parco costò la vita a 22 persone e provocò il ferimento di oltre 8000 manifestanti.

Da allora, come sintetizzato nei report annuali del think-tank “Freedom House”, gli spazi e le possibilità di esercizio del dissenso sono stati progressivamente e costantemente ristretti. Il salto di qualità definitivo fu compiuto in seguito al fallito golpe del 15 luglio 2016. Nel contesto di uno stato d’emergenza che consentiva processi sommari istruiti da tribunali speciali, con l’accusa di aver sostenuto a vario titolo gli organizzatori del golpe, il governo Erdoğan diede inizio a una delle purghe più estese dell’intera storia repubblicana, che colpì oltre 10000 militari, 140000 burocrati, dipendenti ministeriali e funzionari, 7000 accademici e giornalisti.

Proposte dell’opposizione

Mettere in fila questi esempi e questi dati sintomatici della condizione dei diritti e delle libertà definisce un quadro clinico della democrazia in Turchia a dir poco allarmante, se non senza speranze. Eppure, non solo la storia (della Turchia e del mondo) ci dimostra che ciascuna ondata di regressione autoritaria è stata finora seguita da un recupero e un miglioramento qualitativo e quantitativo della democrazia.

Oltre a ciò, nonostante le linee rosse sempre più marcate, in Turchia c’è una società civile piuttosto attiva e combattiva, che continua a rivendicare i propri spazi di libertà e i propri diritti. E, mai come ora da quando l’AKP di Erdoğan è al potere, c’è anche una coalizione di opposizione che sembra aver accolto alcune delle istanze di questa società civile. La sua eterogeneità, che è un punto di forza dal punto di vista elettorale, ha reso difficile (talvolta impossibile) trovare un punto d’incontro su quali posizioni assumere. Le visioni sulla famiglia, sui diritti civili, sulla moralità, sono molto differenti in un’alleanza che contiene al proprio interno uno spettro ideologico che va dalla socialdemocrazia, al nazionalismo turco, al conservatorismo religioso.

Per questo, sono serviti mesi di delicate ed estenuanti negoziazioni al “Tavolo dei Sei” (Altılı Masa) che riunisce i membri dell’Alleanza della Nazione per raggiungere un accordo, prima ancora che sul candidato presidenziale, sui punti del programma comune, sul profilo da adottare come opposizione, sui temi da trattare in campagna elettorale. Questo percorso, non privo di tensioni interne e strappi, ha però fatto sì che in queste settimane il candidato Kemal Kılıçdaroğlu potesse prendere posizioni nette anche su alcuni temi delicati tra quelli accennati sopra.

È così che, mentre Erdoğan chiarisce ai propri elettori che «finché sarò al potere, Demirtaş resterà in carcere», Kılıçdaroğlu promette che sotto la sua presidenza le sentenze della CEDU che ne ordinano la scarcerazione saranno rispettate. Allo stesso modo, mentre il governo sostiene l’inutilità della Convenzione di Istanbul, il leader dell’opposizione si impegna a ratificarla nuovamente.

Oltre all’impegno alla riconciliazione (helalleşme) e a ricucire le profonde fratture Inter-etniche e inter-religiose – vero pilastro della campagna elettorale dell’opposizione – Kılıçdaroğlu promette di ripristinare libertà di espressione, opinione, pensiero secondo gli standard dell’Unione Europea, come primo passo per una nuova politica nei confronti di Bruxelles. Al di là di un estesissimo programma comune di oltre 244 pagine e dei comizi elettorali, le proposte e la visione dell’opposizione vengono spiegate in una serie di brevi video rilasciati quasi quotidianamente da Kemal Kılıçdaroğlu.

Quando saremo nei giorni più caldi della campagna elettorale, e la coalizione al governo avrà iniziato ad alzare i toni sui temi dei diritti civili, sociali, e politici, sarà interessante vedere come l’opposizione spiegherà le proprie posizioni e la propria visione in risposta, ad esempio, alle provocazioni lanciate dal ministro Soylu.

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