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GLI ITALIANI E LA VARIABILE DEL METRO DI DISTANZA

2 Novembre 2020

La mente degli italiani ha un grosso problema: dispone di un hard disk estremamente limitato. E a causa di questa sua deficienza, s’affanna a cancellare le informazioni passate per fare spazio a quelle più recenti. Mica è colpa nostra se ci hanno fatti con dei gigabyte in meno. Ma la colpa è nostra se non facciamo nulla per fare in modo che le informazioni che cestiniamo siano almeno quelle più inutili.

Ci sono ormai pochi dubbi sul fatto che da giugno a oggi abbiamo gettato alle ortiche il frutto di tutti i sacrifici fatti durante il lockdown. Sono stati commessi errori sul tracciamento, la gestione dei tamponi è stata una tragedia, e Immuni una farsa. Ci è toccato tocca dunque, come l’oca del famoso gioco da tavolo, ricominciare il giro da capo, passando dalla sottovalutazione al panico per giungere, attraverso una nuova ondata di contagi, alla conseguente “fase 4”, ormai più che un orizzonte. Ma sarebbe ipocrita, e lo sa pure l’oca, pensare che alla fine la colpa sia della sola sorte, di un lancio del dado poco fortunato. Se l’oca è morta, è assai probabile che si sia mossa in maniera avventata, frettolosa, dimenticando le cause per le quali si è ritrovata all’improvviso a riiniziare il percorso da capo.

L’altro giorno, dopo un’attenta analisi di coscienza, e rimorsi della fame, ho detto alla mia fidanzata “ma se andiamo al ristorante”, che qui in Trentino, fino a ieri, ancora potevamo: il problema più grande non è stato “di cosa abbiamo voglia?” ma: “se andiamo lì i tavoli saranno distanziati? Ti ricordi se lì rispettano il metro di distanza? No, lì a occhio stavano sui 70 cm”. E allora forse dobbiamo anzitutto rispolverare i fondamentali: un metro deve essere un metro tanto al ristorante, quanto in autobus, tanto in un bar, quanto in fila alle poste. Non è intervenuta nessuna misteriosa alterazione delle leggi della fisica a cambiare questo dato e a cui possiamo dare la colpa.

Il nostro hard disk è assai limitato, e cancelliamo sempre le informazioni più importanti per fare spazio a quelle nuove. Vogliamo costruire un tetto che ci protegga dalla pioggia ma non disponiamo delle fondamenta che lo possano reggere: la frequenza frenetica dei dpcm non fa altro che peggiorare una situazione già compromessa. Facciamo uno sforzo di memoria: se ci pensiamo, nella «fase 2», tanto per i sedili sui mezzi di trasporto quanto per i posti ai tavoli del ristorante, valeva la regola dello “sfalsare e debitamente distanziare”, o quantomeno era evidente lo sforzo di adeguarsi alla nuova situazione da parte di tutti, tra mille contraddizioni, con sacrifici e ulteriori investimenti in una fase già tremendamente difficile. Poi è bastato mollare un attimo, che ci si poteva riaccalcare sui mezzi di trasporto come se niente fosse, riempire le scuole senza nemmeno misurare la febbre all’ingresso con il termoscanner e pure sedere a tavola a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro.

Si è deciso tutti insieme che era meglio adeguare le norme alla pratica, perché il contrario era troppo faticoso, troppo impopolare. E il famoso metro s’è stretto e allargato a seconda del contesto, a seconda dell’interpretazione, arrivando pure all’affermazione che “cinque persone per metro quadro sui mezzi pubblici sarebbero state perfettamente in linea con i protocolli di sicurezza”.

L’oca muore ogni giorno quando dimentica di cosa è morta. Abbiamo rifiutato l’evidenza, ed è una responsabilità diffusa.

A questo rifiuto ha certamente contribuito un clima di non affinità tra il comportamento del governo e quello dei cittadini: di questo potremo discutere per i prossimi cento anni, soppesando colpe e parole, malagestione e maleducazione. Che alla fine se la sono presa con quelli che avevano sempre rispettato le misure e le raccomandazioni, c’è chi dirà che è meglio che siano liberi mille colpevoli piuttosto che punire un innocente, e chi invece che è vero il contrario.

Ma alla fine, la domanda da un milione di euro sarà: ma te, poi, ce l’avevi Immuni?

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