“The Donald” è il bersaglio principale dei manifestanti di Black Lives Matter, Biden lo surclassa nei sondaggi e l’epidemia di COVID-19 negli Stati Uniti è completamente fuori controllo. Però Trump ha già vinto.
Physique du rôle
La vittoria di Trump nel 2016 per quanto fuori dagli schemi sembrava poter aprire a una fase di cristallizzazione del personaggio entro dinamiche più tradizionali e leggibili dagli analisti di politica americana. Un candidato è sempre più libero di un Presidente: può promettere ciò che vuole, non deve mediare con i colleghi di partito per portare avanti la propria agenda e soprattutto non soffre le limitazioni tipiche al potere reale poste da burocrati, funzionari, consiglieri e decision maker vari. In campagna elettorale estro e creatività nelle azioni e nelle affermazioni sono elementi premiati e necessari. È fondamentale tenere viva l’attenzione dell’opinione pubblica e dei media, coltivare costantemente l’eccezionalità della propria immagine e cercare di ampliare il più possibile la propria base elettorale.
Una volta fatto ciò se tutto va secondo programma si accede alla stanza dei bottoni dove si scopre che i pulsanti sono tanti e che non si possono premere tutti secondo capriccio. La massa critica che portò all’elezione di Trump non era composta solo da redneck texani e pensionati della Florida. Probabilmente l’analisi costi-benefici di molti indecisi o repubblicani moderati di lunga data gli aveva portati a credere per un motivo o per l’altro che il programma e le modalità del Trump presidenziale sarebbero rientrati in una sfera classicamente repubblicana per quanto riguarda l’operato politico e più istituzionale per quanto riguarda il ruolo.
Tra i due litiganti
Ad aiutare la storica elezione di “The Donald” a onor del vero ci fu la particolare situazione dei democratici. Un partito spaccato anche dal punto di vista generazionale tra un’ala moderata supportata dagli over 60 e un’ala radicale spinta da molti millenials e appartenenti alla generazione Z. Hillary Clinton da un lato e Bernie Sanders dall’altro. Troppo diversi fra loro per percorso, idee e seguaci. Inconciliabili. Da un lato la potente, nota e iperfinanziata ex First Lady e Segretario di Stato (in rigoroso ordine cronologico), destinata da almeno trent’anni alla Presidenza. Dall’altro un indipendente e semisconosciuto Senatore del Vermont, non il primo Stato che viene in mente quando si pensa agli USA. Questa spaccatura così profonda inevitabilmente sarebbe andata a delegittimare il vincitore delle primarie democratiche. E così fu, la Clinton non riuscì ad affermarsi come candidato unitario e soffrì in maniera importante la narrazione che le cucì addosso Trump. Debole, corrotta, elitaria e malata. Non vincente. “Crooked Hillary” appunto.
I primi tre anni di “The Donald” nello Studio Ovale non si può dire che siano andati male: economia in crescita, politica estera non disastrosa e anzi a tratti brillante ed efficacissima narrazione politica diretta ai propri sostenitori. Il tycoon si è rivelato inscalfibile anche da scandali che avrebbero determinato la fine politica di qualsiasi altro personaggio pubblico. In qualche modo l’assurdo e folle Trump era riuscito a traghettarsi nel ruolo di Presidente, dando garanzie socio economiche a un certo tipo di elettorato senza perdere, diciamo così, le peculiarità caratteriali che si erano rilevate vincenti in campagna elettorale.
What goes around comes around
Poi è successo quello che non dovrebbe mai succedere a un leader in cerca di rielezione. Il noto e paventatissimo cigno nero: un mix distopico tra influenza spagnola, crisi economica del ’29 ed esplosione dei movimenti civili degli anni ’60. Un problema gigantesco per chiunque, figuriamoci per Trump.
Qui il gioco è saltato, l’esuberanza del Presidente e la gestione ordinaria possono essere portate avanti da Segretari e membri del deep State ma come si suol dire, tempi eccezionali richiedono uomini eccezionali. O quantomeno competenti e disposti a delegare. Trump ha sminuito il virus fin dall’inizio, anche dopo che era ormai manifesta la necessità di misure precauzionali e lockdown. Non ha promosso nulla di tutto ciò ed è riuscito addirittura a trasformare l’uso della mascherina in un simbolo politico. Contestualmente l’omicidio di George Floyd ha fatto esplodere le proteste del movimento BLM e il nostro ha fatto l’impossibile per porsi in una dialettica conflittuale con i manifestanti. È apparso da subito come debole, fragile e fuori controllo. Crooked Trump insomma. I sondaggi lo vedono affondare, l’epidemia negli Stati Uniti appare ormai ingestibile e la sua campagna elettorale sembra acefala e dominata da tweet istintivi. Joe Biden, ex vicepresidente di Obama, si è immediatamente contrapposto a Trump come candidato razionale ed inclusivo. Calma e fermezza da un lato, rabbia e frenesia dall’altro.
Too much and never enough
In tutto ciò l’unico elemento di eccezionalità di Trump sembrerebbe essere quindi il suo profilo psico-patologico. Mary Trump, figlia del fratello maggiore di Donald sta per pubblicare “Too much and never enough, how my family created the world’s most dangerous man” libro scottante sullo zio, già parzialmente anticipato dai giornali. L’attuale Presidente degli Stati Uniti viene dipinto dalla nipote psicologa clinica, come narcisista, privo di principi morali e incapace di relazionarsi alla realtà. Nel libro si afferma che i soldi e il potere della famiglia di Trump avrebbero evitato al rampollo il confronto con il mondo reale proteggendo il suo ego dall’inevitabile ferita narcisistica.
La gestione degli eventi negli ultimi mesi è stata fallimentare non solo a livello amministrativo ma anche dal punto di vista del consenso. Trump è stato incapace di riposizionarsi rispetto al suo elettorato più radicale, fedelissimo ma certamente non maggioritario. Narciso si è specchiato troppo e gli è sfuggito l’elettore medio. Causa di ciò è sicuramente anche il manifestarsi e l’affermarsi dei suoi tratti psicologici più patologici e disfunzionali a discapito della razionalità della corte di parenti, funzionari, consiglieri e sottoposti vari. Trump non si è tradito ed ha dato prova, forse per la prima volta, di grandissima coerenza. Per le presidenziali di novembre è messo malino ma nella sua personalissima competizione che ha come oggetto l’affermazione del proprio ego credo si possa affermare con ragionevole certezza che abbia già vinto.