L’introduzione della possibilità di firmare digitalmente per i nuovi referendum su eutanasia legale e cannabis legale ha destabilizzato il mondo politico italiano. Entrambi i referendum hanno raggiunto le 500’000 firme necessarie, quello sulla cannabis lo ha fatto in una settimana. L’entusiasmo è alle stelle, ma la strada che stiamo imboccando è sicura? Quali sono i pericoli in cui potremmo imbatterci? Un’analisi.
Premessa doverosa nell’epoca in cui, se vuoi criticare qualcosa senza venire assaltato da masse di invasati che si definiscono progressisti, devi perlomeno far parte della categoria tutelata da quella cosa che stai osando contestare: ho firmato, tramite Spid, i referendum sull’eutanasia legale e sulla cannabis legale. Il procedimento è stato talmente rapido che quell’orgoglio per sentirmi parte di qualcosa di grande, che potrebbe cambiare la vita delle persone, è svanito in un minuto. Avevo firmato e neanche mi ero accorto di averlo fatto. Avevo combattuto per i diritti sul divano, in pigiama, sbadigliando. «Caspiterina, non pensavo fosse così facile!». Così, senza nemmeno un graffio, sono andato mestamente a dormire, fantasticando su quale altra meravigliosa battaglia mi sarebbe toccata il giorno successivo.
Usciamo dalla mia noiosa giornata e alziamo lo sguardo. L’obiezione a questa mia introduzione decisamente ironica la conosco già, ed è la solita di coloro i quali sono talmente manichei che basta sussurrargli qualche parolina magica, come «digitale» o «progresso», e staranno dalla tua parte qualsiasi cosa tu gli proponga. Va bene qualsiasi cosa, purché sia tech, perché «Su, signora mia, siamo nel 2021, mica nel Medioevo!». Ora, anche io sto dalla parte del progresso e non ci penso nemmeno a guardarmi alle spalle sognando un fantastico mondo antico che nemmeno ho vissuto. Però, penso che se le tecnologie cambiano, anche la società e le sue regole debbano modificarsi, adattandosi alla situazione.
Qualsiasi opinione abbiate in merito, non potete non scorgere una stortura a livello democratico quando vengono raggiunte le 500’000 firme, necessarie per l’approvazione di un referendum, in una settimana. Siamo di fronte a un problema non da poco: la possibilità di richiedere un referendum su qualsiasi desiderio giornaliero del popolo, ed estromettere il parlamento a suon di clic. Così, dal referendum sull’eutanasia e sulla giustizia, si è passati per quello sulla cannabis e, per finire in bellezza, alla meraviglia di questi giorni: il referendum sul green pass. D’altronde gli italiani sono fatti così: gli offri un dito e si prendono il braccio, l’altro braccio e, già che ci sono, ti segano pure una gamba.
Nel frattempo, il metodo che abbiamo di affrontare certe questioni neppure accenna a cambiare. Viene a galla il solito ideologismo privo di consistenza, con tanto di tifoserie, bandierine, cori da stadio e la consueta tiritera alla quale, ormai, siamo assuefatti. Il problema emerge nel momento in cui qualcuno pone la fatidica domanda sulle motivazioni che hanno portato a firmare per questo o quel referendum. Nella maggioranza dei casi, la risposta è la seguente: «Perché è una battaglia di civiltà». Boom. Giù il sipario. Discussione nemmeno iniziata e già vinta in partenza.
Infatti, se quella promossa dal referendum è una battaglia di civiltà, significa che tutti coloro che non firmano o che sono contrari sono degli incivili, dei barbari. Con loro non vale la pena neanche di confrontarsi, di discutere e di sentire le loro ragioni. Vanno semplicemente marchiati, esclusi dall’idilliaco «circolo dei giusti» e calciati fuori a pedate. E guai se provano a far domande. Ricordatevelo per la vita: quando volete dire qualcosa ma non avete la voglia di affaticarvi troppo per studiarla, quella cosa, uscitevene con la storiella della battaglia di civiltà. Funziona sempre. Per citare alcuni illustri esempi: lo fa Zan con il suo disegno di legge, lo fa Conte con il reddito di cittadinanza.
Considerando che il punto di riferimento della sinistra è un pendolo che oscilla tra Fedez e il sopracitato ex avvocato del popolo non bisogna stupirsi se l’approfondimento è poco e la superficialità è tanta. Il fatto è che, poi, non bisogna meravigliarsi quando, dall’altra parte, propongono dei referendum lunari con la stessa motivazione addotta da noialtri. E se gli si chiedesse perché firmino il referendum contro il green pass, e questi rispondessero che lo fanno perché è una-battaglia-di-civiltà, bisogna accettarlo. Altrimenti è civiltà solo quella che fa comodo a noi. Converrei che la soluzione sia quella di alzare il livello del dibattito e comportarsi da persone adulte, invece di giocare a strapparsi di mano lo scettro della civiltà con metodi incivili.
Comprendo l’entusiasmo per avere raggiunto un traguardo su temi che il Parlamento avrebbe dovuto affrontare ma ha volutamente ignorato, ma non credo che sia questo il metodo risolutivo. Agendo in questa maniera verrebbe meno il ruolo del Parlamento stesso, verrebbe meno la distinzione tra rappresentanti e rappresentati, verrebbe meno la democrazia come la conosciamo oggi. La storia ci insegna quello che accade quando vengono a mancare i corpi intermedi tra il pensiero del cittadino all’osteria e la scrittura e l’esecuzione di una legge. Più che la volontà generale di Rousseau, sarebbe una volontà di scemenze generali.
Temi così rilevanti dovrebbero emergere dal basso ed essere ricondotti all’interno dell’alveo parlamentare. Qui si metterebbe in moto quel processo fatto di dibattiti, spunti di riflessione e visioni diverse che arricchirebbe la discussione e sfornerebbe un risultato frutto della parola proibita: il compromesso. Il pensiero che sta alla base di chi vorrebbe un mondo fantastico di referendum è fortemente illiberale e demagogico, quel compromesso lo esecra e i partiti li considera un intralcio di cui farebbe volentieri a meno.
Il germe del populismo è stato alimentato per anni dal M5s. Il suo fondatore, Beppe Grillo, parlava del suo partito come di un virus che avrebbe infettato tutto l’arco parlamentare. Il punto è che ci è riuscito benissimo e nessuno se ne è accorto. Proprio quel partito è stato alfiere di un referendum – toh, chi si rivede! – sul taglio dei parlamentari. Proprio quel partito professava la democrazia diretta – toh, chi si rivede! – e nascondeva le trame oscure che si svolgevano al suo interno ammantandosi di quella parolina magica: digitale. Vi ricorda qualcosa?