Italia
Foto di Davide Oliva via Flikr

IL GIORNO D’ORO

3 Agosto 2021

Il giorno dopo il giorno d’oro è difficile sentirsi normali. Lo è per Gianmarco Tamberi e per Lamont Marcell Jacobs ma lo è anche per tutti gli appassionati di sport dello Stivale che, grazie ai loro due alfieri, hanno vissuto i momenti più belli di sempre, le emozioni più grandi, grazie a due vittorie semplicemente incredibili.

10 MINUTI DI FOLLIA

Non esiste una parola per descrivere meglio l’impresa di ieri: incredibile. Perché quello che è successo è, come da definizione, non credibile. Festeggiare due vittorie così, in due discipline dell’atletica, non è da Italia. Un sogno troppo grosso per uno spettatore, un appassionato olimpico del nostro Paese. Tutti gli atleti sognano di vincere i Giochi Olimpici, tutti i tifosi sognano quelle vittorie, nessuno ha probabilmente avuto l’ardire di sognarne due, così, così vicine e in questa maniera. Un discorso di grandezza, aprioristico, che va al di là delle effettive quotazioni di Tamberi e Jacobs e che trascende le loro capacità. Semplicemente, per certe cose e per l’Italia, quello che è successo è troppo per immaginare una cosa così grande persino ad occhi chiusi nel letto.

Vincere due medaglie d’oro nell’atletica a distanza di pochi minuti è roba da Giamaica, da Stati Uniti, al limite da Etiopia, una cosa che guardi con distaccato piacere quando e dove di Azzurri non c’è traccia e pensi a quanto sia bello per questo o quel Paese festeggiare una cosa del genere. Un avvenimento che non si prende in considerazione da chi è a secco da due edizioni e a certe latitudini non è mai riuscito a spingersi. Una vittoria meritata, un colpo di fortuna, un centro perfetto possono sempre arrivare, più che mai ai Giochi Olimpici, ma un tale allineamento dei pianeti non rientra in discussioni plausibili. È stato tutto questo a renderlo dolce ma anche folle: in 10’ l’Italia dello sport è passata dal Paradiso all’ultra-Paradiso, un’ascesa senza soluzione di continuità; non solo dove normalmente non osano i nostri, ma dove di norma non osa nessuno. Bagnare felicità con altra felicità ancora più grande è un’occasione di una rarità spaventosa, che ha tramutato il pomeriggio italiano in un giorno da ricordare per sempre, senza eguali nella storia. Forse non solo dello sport italiano, ma di quello intero. Una cartolina che da Tokyo nel 2021 viaggerà per sempre nello spazio e nel tempo.

LA MEDAGLIA DELL’AMICIZIA

L’altista qatariota Mutaz Essa Barshim ascolta fremente il giudice, chiede subito quello che in cuor suo sapeva di volere tanto quanto il nostro Jimbo. Sguardo verso Tamberi, sorriso che fatica a trattenere e risposta che sapeva già: «Possiamo avere due ori?». «È possibile». Il giudice prova ad aggiungere altro, che devono essere d’accordo e tutto il resto ma Barshim non lo ascolta, Tamberi nemmeno. Anche chi non sapeva della grande amicizia di Tamberi e Barshim, lo ha capito in un nanosecondo quando si sono guardati: mani allargate, altro sguardo che si trasforma in felicità e abbraccio che vale più di mille risposte ufficiali. I due scoppiano in un’esultanza incontenibile. Spasmodica quella di Tamberi, di chi va a prendersi quello che il fato gli aveva tolto 4 anni prima, di chi si toglie finalmente di dosso 5 anni di sofferenze; più ortodossa ma comunque sfrenata quella di Barshim, di chi ha la consapevolezza che questa medaglia la meritava da sempre ma si era sempre fermato uno o due gradini del podio prima e forse, tra 3 anni, non avrà modo di riprovarci.

Il momento della decisione di condividere l’oro nel salto in alto tra Gianmarco Tamberi e Mutaz Essa Barshim negli highlights della giornata pubblicato su YouTube dal canale Olimpico.

È una sensazione di festa, doppia, che riesce persino ad oscurare l’entusiasmo di un record del mondo appena polverizzato nel salto triplo femminile, in uno stadio che, se fosse stato pieno, avrebbe regalato ovazioni a raffica. Alle spalle c’erano gli stessi tentativi, la stessa misura sbagliata ai 2,39 m ma anche lo stesso maledetto infortunio al tendine d’Achille per due rivali legati da un destino a tratti beffardo ma anche da un talento enorme; soprattutto da un’amicizia vera e che forse non osava sperare in un finale così da film. Per una volta lo sport, spietato e univoco, si apre al suo opposto e ammette che vincere insieme ad altri non è per forza riduttivo del proprio successo. Un insegnamento che arriverà dopo: in quel momento ci sono gli abbracci tra i due, il sorriso e la felicità di chi è stato sempre al loro fianco, anche quando era il fisico a dire di no. L’arco narrativo dell’eroe al suo massimo, la redenzione e la vittoria, con due percorsi convergenti: due Soggetti e un unico Oggetto di Valore, con buona pace della grammatica narrativa di Greimas. Ci si deve adeguare, così come si adeguerà anche il protocollo delle premiazioni: solo nelle prove a squadre è concesso agli atleti di mettere al collo la medaglia ai compagni ma il fiume di emozioni è troppo anche il giorno dopo, sul podio, per obbedire. Tamberi prende la medaglia d’oro e incorona Barshim, che poi ricambia il gesto, in una scena destinata a diventare uno dei simboli più famosi della sportività a cinque cerchi.

COME NESSUNO MAI

Ad alcuni non piace Tamberi come persona: il ragazzo di Civitanova Marche è amico di tutti, spontaneo, estroverso, a volte chiassoso. Ma se non bastasse quanto visto con Barshim, dopo aver festeggiato per alcuni minuti, pensa subito a qualcun altro. Con il Tricolore sulle spalle, resta in curva, ad aspettare l’amico Marcell Jacobs, come già fatto in precedenza. Racconteranno di una nottata passata a giocare insieme prima di queste finali. Ce n’è, per sognare. Record europeo ritoccato due volte tra batterie e semifinali, stato di forma eccezionale: se arriva il miracolo, vien da dire, si può sperare nel podio. E invece arrivano i 9 secondi e 80 più importanti dell’atletica italiana. Da trasformare in ore di visione in loop, perché sono il coronamento di qualcosa di insperabile: l’uomo più veloce del mondo è italiano. Brucia tutti e taglia per primo il traguardo, finendo tra le braccia di quel ragazzo col tricolore più bello del mondo già sulle spalle. Una bandiera che non aveva mai trovato diritto di presenza nelle nove corsie di una finale olimpica. Il sogno di tutti, la vittoria nella gara regina, l’esplosione di un concentrato di emozioni che non ha eguali, forse, in tutto lo sport. Una corsa nella Storia con il finale più dolce possibile. Tutti saltano, urlano e guardano l’orologio: non c’è e potrebbe non esserci mai momento più importante per lo sport nostrano delle 14:54 dell’1° agosto 2021.

Viene naturale chiedersi se sia una favola, viene spontaneo rispondersi di no perché nessuno aveva mai osato sognare tanto ad alta voce. Invece c’è uno Stadio Olimpico non pieno ma in festa per qualcosa che è oltre la comprensione per tutto il mondo. Da Desenzano del Garda a prendere il posto sul trono dei più veloci, a sedersi dove – negli ultimi 13 anni – ha potuto posarsi solamente Sua Velocità Usain Bolt. Era difficile immaginare un’emozione grande come questa: i due amici che si abbracciano, in Azzurro, avvolti dalla nostra bandiera, con un Paese in festa a guardare la tv a 7 ore di distanza (saranno 6 milioni e 920 mila i sintonizzati durante i 100 m, con un picco di share del 46.17%, considerando solo la RAI). È impossibile capire cosa c’è nel petto di Jacobs e Tamberi. Non riusciranno a dormire, sarà difficile contenersi, parleranno al telefono con Mario Draghi che si complimenta a nome di una nazione. In un attimo sono premiati i sacrifici di una vita, il lavoro di innumerevoli ore, giorni, intemperie e asperità per arrivare in cima al mondo. A zittire chi, non pago del buon numero raccolto, stava già pesando le medaglie: ora la bilancia si è rotta, non era pronta a reggere tanto. Negli occhi, per sempre, una cartolina che diventerà emblema olimpico, che verrà riproposta per sempre e che parla solo ed esclusivamente la nostra lingua ma lungo tutto il pianeta.

IL GIORNO DOPO IL GIORNO D’ORO

È quello, ovviamente, delle celebrazioni. Delle domande, della realizzazione ma forse ancora dell’incredulità, dei giornali che per una volta cambiano paradigma, della misura della grandezza, di un sorriso che non vuole andarsene, di una gioia appena cominciata, di una storia già incisa indelebilmente. Della goduria di un’Italia che sa soffrire, come sempre, all’italiana, ma che sa anche trovare la forza nelle sue contraddizioni sociali, nel suo contesto, nella sua storia recente trovando il pareggio dei mondi in quella diversità culturale sempre forza e mai penalità. Il giorno d’oro regala l’emozione di un podio bello per quello che dimostra e di uno stupendo perché sempre visto con la riverenza dei piccoli, capaci invece ora di occuparlo. Ci sarà tempo per pensare ad altro, ci sarà tempo per recriminare, ci saranno altre Olimpiadi. Di certo quella più lunga della storia moderna ci ha regalato la gioia più grande possibile, con ancora tante gare da giocare e molti battiti ancora da perdere. Sperando in piste d’atletica prese d’assalto a settembre (COVID permettendo) e due nomi che entrano di prepotenza nella cultura di massa: veloci come Jacobs, in alto come Tamberi. “Citius, altius, fortiter – Communiter”, recita il motto olimpico, “Più veloce, più in alto, più forte – insieme” ma da oggi si può tradurre anche semplicemente con “Italia”. Ci avreste mai creduto? Riusciremo mai a crederci?

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