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IRAQ: MANIFESTANTI IN PIAZZA DOPO MESI

In questi ultimi mesi si è tornati a parlare nuovamente di Iraq. Cosa sta succedendo? Per molti anni il paese è stato occupato a combattere contro l’ISIS, ma conclusa la battaglia il governo iracheno, salito al potere nel maggio 2018, avrebbe dovuto garantire i diritti fondamentali ai propri cittadini. Tuttavia, non andò come previsto e il popolo iracheno rimase deluso e insoddisfatto per la crescente crisi economica: molti vivono in povertà e si attesta un tasso allarmante di disoccupazione giovanile (del 40% per quanto riguarda la fascia istruita).

A inizio ottobre dello scorso anno, 1-9 ottobre 2019, molte piazze irachene nelle città di Baghdad, Karbala, Maysan e Basra furono riempite di manifestanti, in particolar modo di giovani sotto i 30 anni, che protestavano contro la disoccupazione, l’insufficiente qualità dei servizi pubblici (ad esempio mancanza di acqua potabile ed elettricità) e la corruzione (l’Iraq è classificato come 12º paese più corrotto al mondo dalla NGO Transparency International). Un altro fattore scatenò una seconda fase di proteste, nonché la decisione di rimuovere il capo del servizio antiterrorismo iracheno Abdul Wahab Al Saadi dalla sua carica da parte dell’attuale primo ministro Adel Abdul-Mahdi. Fu un provvedimento che suscitò enorme indignazione tra i sostenitori dell’ex tenente, i quali scesero in piazza il 25 ottobre con un maggiore supporto da parte della società civile. Lo slogan principale dei manifestanti era #نريد_وطن, ovvero “vogliamo un paese/una patria”. Il governo iracheno reagì alle ribellioni attraverso sparatorie di massa o l’impiego di tiratori scelti di cannoni d’acqua e di gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti, ferendo così almeno 8000 persone e uccidendone circa 319, secondo le statistiche rilasciate dall’OHCHR. Si riporta, inoltre, il coinvolgimento diretto di Hashd-Al-Shaabi, unità di mobilitazione popolari vicine all’Iran, che hanno usato la coercizione fisica per reprimere le proteste, con attacchi ai media, arresti, l’imposizione del coprifuoco e il blocco di internet. La mobilitazione dei cittadini non è causata, tuttavia, solamente dalle precarietà interne al paese, bensì è dovuta anche a motivazioni di matrice geopolitica, ci si riferisce alle tensioni sorte tra Stati Uniti e Iran, principali partner internazionali dell’Iraq, le quali hanno reso il paese ancora più instabile. Nel mese di novembre, Ayatollah Ali-Al Sistani, massima autorità sciita del paese, sollecitò il Parlamento a voltare la fiducia all’esecutivo e a distanza di pochi giorni il premier Adel Abdul-Mahdi ha presentato le sue dimissioni, accettate dal Concilio dei rappresentanti il 1º dicembre.

Nel mese di febbraio fu designato Muhammad Allawi come nuovo ministro del paese, ma la formazione del suo gabinetto non ha soddisfatto la maggior parte del movimento di protesta e per di più non gode del sostegno del parlamento. Nel frattempo le proteste hanno continuato e si sono fermate solamente a marzo con la diffusione del Covid-19. A fine luglio, però, I manifestanti sono nuovamente scesi per le strade a lamentarsi contro la carenza di energia elettrica durante questi caldi mesi estivi e hanno approfittato della situazione per fare ancora più pressione sul nuovo governo in merito alla cessione di diritti elementari non ancora riconosciuti. La repressione da parte delle forze di sicurezza  irachene si è fatta ancora più  aspra, causando la morte di altre centinaia di manifestanti; il 30 luglio 2020 Andalou Agency ha registrato più di 560 vittime. L’Iraq è frequentemente soggetto a forti ondate di proteste da parte dei cittadini, ma si stima che la protesta attuale sia la più grande dalla caduta del dittatore Saddam Hussein nel 2003, si tratta di proteste pacifiche nelle quali i cittadini si battono per i diritti più basilari, venendo soffocati e annientati in ogni caso dalle forze armate del paese.

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