Ravi Sharma - Unsplash

La trappola di Twitter

27 Luglio 2022

Questo articolo, scritto con la collaborazione di Stefano Berto, Assistant Professor di Neuroscienze, e Barbara Collevecchio, psicologa clinica, nasce dalla constatazione di come i social media abbiano un ruolo ed un peso talmente preponderante nelle nostre vite da obbligarci ad alcune riflessioni.

Premessa

Nonostante io mi occupi di comunicazione scientifica, in questo articolo esprimerò parecchie teorie, osservazioni e opinioni personali. Non sono laureato in psicologia, sociologia, antropologia, economia, filosofia o qualsiasi altra materia che studia il comportamento degli esseri umani, le interazioni tra di essi ed il loro rapporto con i social media. Questo pezzo vuole semplicemente essere un insieme di considerazioni, provocazioni e spunti elaborati a partire dalla mia esperienza su Twitter. 

Prendete dunque questo pezzo per quello che è: un insieme di pensieri di un utente di un social che magari tornerà utile anche a voi.

Cosa è Twitter?

Nato nel 2006 dalla mente di Jack Dorsey come ambiente di microblogging e aggregatore di notizie, oggi Twitter vale circa 28 miliardi, fatturandone 5 all’anno. Senza entrare nelle ultime vicende di cronaca che hanno visto Elon Musk interessato all’acquisto e alla rivoluzione della piattaforma, cerchiamo di capire a cosa serve e come funziona.

Twitter è, come detto, un aggregatore di notizie dove è facile scambiarsi informazioni e dove ogni utente può seguire ed essere seguito da altri utenti. Lo spazio entro il quale ci si esprime è il tweet, uno spazio di testo sotto i 280 caratteri nel quale si può dire praticamente di tutto. Se su Instagram si comunica con immagini e foto, su Twitter si comunica con brevi testi.

La piazza dei social e i meccanismi di approvazione

Come qualsiasi altro social, la parola stessa lo suggerisce, Twitter è un ambiente sociale dove più individui si confrontano ma soprattutto cercano conferme e magari approvazione.

Su Instagram le conferme arrivano sotto forma di like alle nostre foto, il cui numero corrisponde ad un feeback più o meno positivo che riceviamo rispetto al nostro fisico, al nostro outfit, al nostro stile di vita, alla nostra capacità di creare contenuti e intrattenere. Il social è una sorta di piazza digitale dove sperimentare noi stessi, metterci in gioco e, se tutto va bene, venire ripagati con approvazione. L’approvazione per noi umani è fondamentale, è importantissimo sapere che quello che siamo (o ci illudiamo di essere) viene approvato da qualcuno.

L’approvazione stimola i meccanismi di ricompensa (reward) che rilasciano la tanto agognata dopamina: un neurotrasmettitore rilasciato da nuclei funzionali nel nostro cervello, in particolare dalla substantia nigra (SN) e dalla ventral tegmental area (VTA). I neuroni dopaminergici nascono in questi nuclei e si propagano in altre regioni del cervello tra cui lo striato, la corteccia, il sistema limbico e l’ipotalamo.

Attraverso questo sistema, la dopamina attiva processi importanti per controllare l’interazione sociale, l’umore, i comportamenti legati ai meccanismi di ricompensa, mentre la sua funzione è alterata quando si fa uso di stupefacenti, come ad esempio la cocaina, la quale va a bloccare il trasporto della dopamina creando un accumulo della stessa, amplificando il segnale tra neuroni e dando quell’effetto di euforia che poi genera dipendenza.  

Le vie della dopamina – Wikimedia Commons

Nei processi di ricompensa, la dopamina è rilasciata quando lo stimolo è positivo, quando la persona “feels damn good”. Ad esempio è rilasciata quando si mangia del cibo che si trova delizioso o si prova conforto nel parlare con una persona, quando un figlio sorride, o un proprio paper è accettato in Nature. Twitter, come altri social media, mima la connessione umana e i commenti, i like e le condivisioni stimolano il rilascio di dopamina, attivando i meccanismi della ricompensa (tenendo ovviamente conto della variabilità tra individui).  

Senza estremizzare il discorso come nel documentario The social dilemma (che comunque se non avete ancora visto vi consiglio di guardare), siamo indubbiamente in cerca di approvazione quando usiamo un social. Più ci sentiamo approvati e più andiamo in cerca di approvazione e più rilasceremo dopamina creando, de facto, una sorta di dipendenza da dopamina. L’effetto collaterale diventa il comportamento ripetitivo che, diventando con il tempo sempre meno stimolante, porta la persona ad amplificare ciò che prima, magari, faceva raramente. 

Twitter fornisce approvazione sotto forma di like e, soprattutto, retweet. La differenza subdola rispetto a Instagram è che su Twitter vengono scambiate idee, non foto. Ricevere approvazioni e conferme su una propria idea, a differenza della foto di un paesaggio, crea delle echo chambers molto pericolose.

Come dimostrato da diversi studi, i social media, tra cui Twitter, tendono a limitare l’esposizione di prospettive diverse tra loro favorendo, dall’altro lato, la formazione di gruppi caratterizzati da idee omogenee. Queste idee, causa la mancanza di contraddittorio e studio delle fonti, tendono ad essere amplificate, rafforzate e polarizzate. Il risultato è la focalizzazione e il consolidamento di una specifica narrazione che viene condivisa e applaudita dagli utenti di questo gruppo: una echo chamber, appunto. 

L’algoritmo perfetto

L’algoritmo di Twitter è perfetto per far funzionare il meccanismo appena spiegato: seleziona e propone idee identiche o affini a quelle degli utenti che stanno scorrendo la loro “home”. Se questa abilità può anche essere utile per sapere cosa un determinato gruppo di persone pensa o dice, indubbiamente può diventare pericolosa se facciamo parte di quel gruppo senza esserne consapevoli. La presenza di diverse bolle attorno a determinati argomenti scatena infatti un altro fenomeno: il narcisismo collettivo.

Il narcisismo collettivo si manifesta quando i partecipanti di un determinato gruppo sono convinti di aver ragione su un argomento e odiano chiunque non la pensi come loro. Attenzione: spesso colpisce anche gruppi di persone che sostengono idee legittime e giuste (ad esempio le persone a favore dei vaccini possono arrivare a odiare e detestare i gruppi no-vax). Il sentimento narcisistico spinge le persone a diventare egoiste e quindi alla costante ed ulteriore ricerca di attenzioni e conferme. 

Ma la vera minaccia dell’algoritmo è un’altra. Twitter infatti premia chi fa più rumore, chi prende una posizione polarizzata e polarizzante, capace di accendere i toni.

Secondo voi tra un tweet provocatorio, senza dati a supporto, tranchant, e un thread (insieme di tweet) elaborato con dati a supporti e toni pacati, quale dei due troverete in cima ai feed?

Esatto: il primo

Divide et impera

L’algoritmo di Twitter quindi fa una cosa molto semplice: stimola la creazione di echo chambers estremamente chiassose e polarizzate.

Pensate di esserne immuni? Pensate che gli scienziati ne siano immuni? E i giornalisti?


Se avete risposto sì, vi sbagliate. Secondo un lavoro pubblicato su Scientific Reports nel 2021 su un campione di 26 milioni di utenti la comunicazione attorno al Covid19 è stata dominata in una prima fase da una mega-community di utenti esperti di salute e scienza, ma con il passare del tempo si è frammentata in molti piccoli sottogruppi polarizzati. Gli scienziati stessi spesso hanno aderito a queste bolle dove prevalgono delle narrazioni, strumenti potentissimi che funzionano da collante nelle società. Lo storico Harari ritiene che senza di esse probabilmente oggi l’uomo non esisterebbe come lo conosciamo.

Un esempio di narrazione è quella costruita attorno al cambiamento climatico: secondo i sostenitori del cambiamento climatico non antropico, gli aumenti di temperatura a cui stiamo assistendo negli ultimi anni non sarebbero da imputare all’azione dell’uomo ma a cicli naturali che prevedono periodi più caldi seguiti da periodi più freddi. I lavori scientifici citati e le tesi sostenute non sono formalmente sbagliate o false, ma vengono totalmente decontestualizzate e piegate per arricchire tale narrazione.


Ricapitolando: gli utenti usano Twitter per cercare informazioni e condividere idee, naturalmente tendendo a seguire persone con idee simili (echo chamber); l’algoritmo premierà i contenuti più polarizzanti e chiassosi con un marea di like (validazione e reward). Questo fenomeno è emerso con particolare violenza durante la pandemia di Covid19 ed è riconosciuto anche a livello scientifico

Ma perché quello descritto è un problema enorme? In fondo cosa c’è di male a trascorrere qualche ora su un social che rafforza alcune mie idee e convinzioni? 

Perchè una narrativa all’interno di una echo chamber può convincerci di qualsiasi cosa: possiamo credere che i vaccini causino il cancro o che le mascherine siano inutili per prevenire un’infezione respiratoria, oppure che il cambiamento climatico non esista o ancora che la Russia sia stata attaccata dall’Ucraina. Le echo chambers infatti tendono ad avere un effetto estremamente negativo: promuovono idee fra loro contrarie aumentando e amplificando, in molti casi, la disinformazione a discapito di un’informazione accurata e dettagliata. 

Oltre le fake news

Le echo chambers non sono però delle semplici casse di risonanza di fake news o notizie improbabili! Spesso grazie alla retorica, alla dialettica, alla decontestualizzazione e ad altre tecniche manipolatorie (strawman, gaslighting, cherry picking, estremizzazioni, benaltrismo) chi alimenta le narrazioni convince anche le persone più “pensanti”. 

Torniamo ad Harari: la nostra è una società della post-verità, dove la verità è un concetto negoziabile e di importanza secondaria

Esiste una soluzione? Immagino di sì, ma probabilmente è molto faticosa ed estremamente difficile.

Il mondo nel quale viviamo oggi è estremamente complesso e il nostro piccolo cervello rettile circondato da una sottile corteccia frontale fatica molto a comprenderlo. Il nostro sistema 1 spinge per soluzioni veloci ed economiche e prova in continuazione ad individuare nessi causali anche quando palesemente non ci sono. 

Il nostro obiettivo dev’essere quello di conoscere o almeno di arrivare quanto più vicini possibile alla verità, evitando il cherry pick (la fallacia logica) e cercando di razionalizzare i contenuti delle informazioni lette. È un processo che richiede studio, pazienza, metodo ed esperienza. 

Io non sono titolato a spiegare come ottenere la verità o dove cercarla: mi piacerebbe, con queste riflessioni, aver sollevato il dubbio di essere finiti in una echo chamber.

Non intendo in alcun modo che qualcuno è a conoscenza della verità e ce la tiene nascosta: non credo nei complotti. Siamo TUTTI a rischio polarizzazione. Una fase fondamentale per ricercare la verità è pertanto la scelta delle fonti: quelle che fanno complottismo sono da scartare immediatamente

Le conclusioni

In conclusione, Twitter è un social media che sfrutta ed amplifica una serie di comportamenti e alcuni modi di ragionare umani: la ricerca di validazione, la tendenza alla polarizzazione e al fare affidamento ai nostri preconcetti. Il rischio di questo social è di finire in una bolla dove le nostre idee sono rafforzate e dove potrebbe prendere piede una narrazione dominante che molto spesso è più vicina alla disinformazione che all’informazione reale e metodica. Un rischio reale che non riguarda solo le categorie della società più a rischio (ovvero quelle caratterizzate da bassa scolarizzazione) ma riguarda anche scienziati, decision makers e giornalisti: ovvero coloro che dovrebbero avere una visione dei fatti quanto più imparziale e oggettiva possibile.

Siccome siamo umani, e quindi soggetti a tutte le debolezze e criticità del nostro cervello, la nostra unica arma è la consapevolezza: riconoscere l’esistenza di questo problema ci allontana un pochettino dal caderne vittime.  

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  1. Sono risalito alla Vostra Rivista grazie ad un paio di articoli del Dott. Aureliano Stingi, scoperti sul web per cercare notizie sugli omega 3, per risollevare le condizioni di mia madre di 92 anni. Leggendo altri Vostri articoli ho trovato molti spunti etico-scientifici che fanno bene anche a me, che ho 67 anni e soffro delle conseguenze di un malriuscito intervento alle vene varicose nel 2013, che mi ha causato una trombosi venosa profonda con embolia polmonare, dermatiti ulcerose, e altri incalcolabili impedimenti che mi hanno costretto al ritiro dalla mia attività professionale di architetto.
    Grazie per i Vostri articoli, scientificamente approfonditi, e ne sto notando a piè di pagina altri interessanti, sulle attuali sciagure socio politiche.
    Carlo Curto
    Bergamo, 9 febbraio 2025

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