Carlo Calenda, leader di Azione - via Wikimedia Commons

Pensavo fosse un Polo, invece era un palo

15 Aprile 2023

I terzopolisti potranno confermare: sono state ore e giornate estremamente difficili. Ci ho messo un po’ a fare mente locale, sedermi e incominciare a scrivere… qualcosa. Non sapete quanto avrei voluto aggiungere un bel “che avesse un senso” dopo quel “qualcosa”, ma la realtà con la quale sono costretto a fare i conti è che, purtroppo, non sempre le cose hanno senso.

A volte accadono e basta: bisogna farsene una ragione. E facciamoci questa ragione, allora. Ma prima è importante vengano fatte delle premesse.

Non è mia intenzione né indicare un colpevole universale di questa crisi, né gettare fango su un partito o l’altro, né tantomeno nascondermi dietro un banale argumentum ad temperantiam, la facile scusa della verità che sta nel mezzo.

Dunque, se devo essere sincero con me stesso e con voi, il fallimento del progetto del Terzo Polo ha un nome ed un cognome che spicca fra tutti: Carlo Calenda. A mio parere è inutile fingere che non sia così, specialmente in veste di militante di Azione.

È dal termine della campagna elettorale per le politiche del 25 Settembre che Calenda, da leader della federazione di Azione-Italia Viva, ha incominciato a fare scelte politiche che avevano 2 obbiettivi chiarissimi:

  1. rafforzare la propria figura di leader all’interno del proprio soggetto politico;
  2. espandere il suo bacino elettorale;

Non fraintendetemi, sono due aspirazioni più che condivisibili e imprescindibili per persone con grandi ambizioni politiche; però, spesso, c’è modo e modo di perseguire e portare a termine certi obiettivi. E, umilmente, mi sento di poter e dover criticare la maggior parte delle scelte fatte in questi mesi.

A partire dalla candidatura senza alcuna anticipazione (né audizione dei partiti locali) di Letizia Moratti alle elezioni regionali lombarde, passando per l’elezione ai ruoli di presidente e portavoce di partito di due personalità con storie politiche sicuramente intrascurabili (Mara Carfagna e Mariastella Gelmini) appena entrate in Azione, fino ad arrivare ad esprimere fastidio ed ostilità su iniziative parlamentari e proposte di carattere progressista (e qui devo, per il bene comune, restare sul vago).

Altrettanto umilmente, mi permetto di fare notare come non abbia portato a casa nessuno dei risultati sperati: tralasciando la fuga vergognosa della Moratti praticamente l’indomani del suo fallimento elettorale, non solo il consenso ‘esterno’ al partito non è cresciuto (perlomeno a livello nazionale), ma il ‘Calendaleader’ ha perso gran parte dell’appoggio dalla base militante, soprattutto fra i giovani. E lui lo sa perfettamente.

E sapete cos’altro sa? Che la sua elezione alla guida del partito unico non era più così scontata come poteva esserlo l’indomani del 25 Settembre (anzi…), nonostante il passo indietro del compare Renzi. Il ruolo di leader riserva onori, ma anche oneri: e mesi e mesi d’inciampi si pagano, caro Carlo.

Ecco perché ho detto che non sempre le cose hanno senso. Poiché sebbene questa breve ricostruzione riesca, spero, a dare un senso narrativo al caos esploso circa 72 ore fa, non aggiungerà alcuna vera giustificazione politica. Due partiti che hanno storie comuni, gruppi parlamentari comuni, e che hanno il 99,9% delle proposte in comune (l’unica vera cosa che conta) non ha senso che rimangano nel limbo della federazione.

Ancora meno senso hanno le giustificazioni sui disguidi fra Azione e Italia Viva sul fatidico accordo: una paginetta fronte/retro in merito ai fondi del 2×1000, ai tempi dello scioglimento dei partiti o alla Leopolda. Ma veramente ci stiamo raccontando che un progetto per il quale noi (di Azione, Italia Viva e LDE) abbiamo lavorato per mesi e su cui abbiamo costruito parte della nostra campagna elettorale nazionale si è volatilizzato per queste emerite stupidaggini?

Ognuno è libero di credere a quello che gli pare, ma io non mi bevo le scuse date in pasto a Twitter, giornali o salotti televisivi. Quelle sono state solo il pretesto per fare questa sceneggiata (esponendo, peraltro, militanti e dirigenti locali al pubblico ludibrio). Detto questo, non penso che Italia Viva e Renzi siano 100% esenti da colpe.

Sicuramente hanno fatto rivendicazioni non proprio concilianti; si sono impuntati su alcune modifiche perlopiù insignificanti rispetto ai punti proposti da Calenda; e Renzi, se è vero che è assente spesso e volentieri alle riunioni, anche se ha fatto il famoso ‘passo indietro’, deve pur ammettere di essere la ‘guida spirituale’ di Italia Viva e che avrebbe dovuto, magari, mostrare più volontà di partecipare al processo.

Ed ora? Credo che la base (e non solo) abbia bisogno di tempo. Gli appelli di Azione sul partito unico in queste ore fanno ridere: Calenda ha litigato con PD, +Europa, Italia Viva, scontentato LDE e la sua stessa base. Mi domando seriamente con quali liberali voglia interfacciarsi. Se non altro, queste dichiarazioni sono la riprova di un leader insicuro e confuso. E, credetemi, mi dispiace un sacco vederlo in questo stato.

Serve pazienza, visione e lucidità. Non voglio escludere a priori che non si possa rifare un progetto con Azione (con segreteria rinnovata, spero) e Italia Viva, ma ci vuole un po’ per ricucire i rapporti dopo gli strappi degli ultimi giorni.

Come militante, che ha fatto gazebo, volantinaggio, rappresentante di lista, riunioni, e creato insieme a tanti altri giovani (sia di Azione, che di Italia Viva e simpatizzanti) il gruppo tematico di Diritti al Centro, per ora non posso fare altro che chiedere scusa a tutti quegli elettori che hanno creduto nel progetto del Terzo Polo. Per me è umiliante pensare di aver tradito una promessa così importante e in un modo così assurdo, per giunta.

Teniamo bene a mente un concetto importante, però: le antipatie, i personalismi, le divergenze, le ripicche sono tutti aspetti marginali che vanno e vengono; se siamo riusciti come federazione a prendere il 7,7% in meno di due mesi dalle elezioni, diventando anche il primo partito fra i giovani, vorrà pur dire qualcosa. A mio parere, vuol dire che abbiamo intercettato una speranza: quella di un’alternativa ad un’idea dicotomica della politica e del futuro del nostro Paese. E questa speranza non morirà se c’è qualcuno che sarà disposto a riaccenderla.

6 Comments

  1. Bell’articolo. Anche a me sembra di vivere in un incubo. Non posso credere che sia finita così. Se dal basso si chiederà di cambiare e rimettere la Leadership al voto degli iscritti, si potrà proseguire per un cammino comune. Calenda non potrà essere il Leader solo perché si è proclamato tale. Accetti la linea democratica che ci dovrebbe distinguere. Per essere attrattivi dobbiamo essere diversi dagli altri partiti. Abbiamo già una comune visione politica e penso che sia la cosa più importante. Che la leadership non sia una auto incoronazione ma che parte dal basso con una reale elezione. Silvia Castorina di Italia Viva

  2. Quello che mi meraviglia è che Renzi, così scafato, abbia potuto fidarsi di Calenda, visti i precedenti.

  3. Calenda resta comunque l’unica speranza in uno scenario politico così deludente.
    Ha fatto degli errori ma chi non ne fa.
    È arrivato il momento di mettere a frutto ke esperienze passate e non farne più.
    L’errore più grande è stato quello di fidarsi di Renzi, spero gli serva.

  4. Bravo Giacomo, condivido quanto hai scritto.
    Noi uomini e donne della base non dobbiamo rinunciare ai nostri sogni quindi avanti con coraggio e continuiamo a credere nei nostri ideali

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