Che schifo il Jazz sentenzia ancora qualcuno riferendosi al genere che gli esperti definiscono come l’algebra della musica moderna: affascinante ma poco comprensibile, non assimilabile ai gusti dei più. Ebbene, questi Grammy Awards hanno riservato alcune sorprese – oltre alle solite conferme – assegnando il titolo di “Best New Artist” e di “Best Jazz Vocal Album” a Samara Joy, astro nascente della musica americana.
Cresciuta e nata nel Bronx, lo sottolinea anche sul palco, nel novembre del 1999 da una famiglia di artisti (il padre è un bassista, i nonni paterni sono stati i fondatori di un celebre gruppo gospel di Philadelphia), studia e pratica il jazz assieme alla sua band nella Fordham High School of Arts vincendo molto precocemente il premio di “Best Vocalist” all’Ellington Festival.
Il grande salto arriva al Purchase College di New York: qui viene nominata Ella Fitzgerald Scholar per le sue brillanti qualità canore grazie alle quali, nel 2019, conquista la vittoria dell’ambita Sarah Vaughan International Jazz Vocal Competition. Si laureerà con lode grazie all’incisione del suo primo album, Samara Joy, ottenendo immediatamente il premio di “Best New Artist 2021” rilasciato annualmente dal Jazz Times.
Samara attira talmente tante attenzioni da essere definita “una giovane donna nel cui corpo sembrano vivere Sarah Vaughan ed Ella Fitzgerald” da Regina King.
Dopo una serie di tour in Europa e negli Stati Uniti con moltissime date sold out sui palcoscenici più importanti, dal Monterey Jazz Festival, al Newport Jazz Festival e al Winter JazzFest, assieme ad artisti del calibro di Pasquale Grasso e Ben Paterson, passando per la consacrazione ottenuta con il suo ultimo album “Linger Away”, arriva la vittoria dei due prestigiosissimi Grammy Awards: è la conferma di una traiettoria da talentuosa predestinata.
Samara sfida il mercato e la storia del premio di “Best New Artist” – scippato ai Måneskin: i suoi classici istantanei sono fatti per restare sfidando la fama di “bacio della morte” attribuita al premio, amuleto di sfortuna e di insuccesso dall’intero mondo musicale. Ovviamente non è stato così per tutti. Fra i più illustri vincitori figurano i Beatles, Mariah Carey, Lauryn Hill, Norah Jones, Cristina Aguilera, Alicia Keys, John Legend, Amy Winehouse e Adele.
La sensazione, insomma, ascoltando la sua musica e pensando alla sua storia, è che Samara Joy possa lasciare il segno e che il suo nome possa figurare fra i nomi di queste stellari eccezioni riuscendo a entrare nell’Olimpo delle migliori voci jazz della storia.
Samara Joy ha portato ossigeno e aria fresca nel jazz, esprimendosi in maniera moderna, attingendo al bebop e ai classici con una calda impostazione Soul: i suoi lavori spaziano dalla reinterpretazioni di classici Jazz come “Round Midnight” o di classici pop più recenti come “Someone Like You”, fino a brani più moderni – pur nel solco della tradizione – che incorporano sonorità fusion come “Guess Who I Saw Today” e “Sweet Pumpkin”. L’ascoltatore viene avvolto da un anelito di dolce nostalgia, sensazione che solo artisti come Chet Baker sanno provocare.
La sua vittoria è sicuramente in controtendenza rispetto ai vincitori precedenti del premio di “Best New Artist” (Billie Eilish, Megan Thee Stallion e Olivia Rodrigo) per genere, mercato e interpretazione. La coronazione di Samara è un bel segnale al mondo musicale: si può avere successo pur non rientrando nelle logiche del mercato musicale di oggi, rivoluzionando la tradizione di generi ormai lontani dall’immaginario dei giovani di oggi e portando a compimento un’importante operazione culturale di riavvicinamento ai grandi artisti jazz del passato.
A tutti quelli che avranno alzato il sopracciglio perplessi all’annuncio della sua vittoria chiedendosi chi fosse, si può rispondere: quando non sai cos’è, allora è Jazz. Buon ascolto.