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VITTIME ILLUSTRI

9 Ottobre 2020

La prima partita ufficiale della Nazionale Italiana di calcio risale al 15 maggio 1910, sfida contro gli eterni rivali della Francia. Debutto bagnato con una vittoria per 6-2. Da allora gli Azzurri hanno collezionato 4 Coppe del Mondo e 1 Europeo. Ma quali sono le squadre più forti mai affrontate (e battute) dalla nostra Nazionale?

“Il valore senza avversario ristagna.”. Questa frase che ad oggi attribuiamo a Seneca traccia perfettamente quello che è l’intento di questo articolo. “Le Italie” che proporrò qui di seguito sono ricordate da ogni affezionato del pallone. Ma per far sì che esse fossero impresse nella Storia della nostra Nazionale hanno avuto bisogno di avversari che ne innalzassero lo spessore. L’ordine in cui sono messe è a seconda del mio personale gradimento e “contatto” (mi è difficile elevare un avversario che non ho avuto modo di vedere dal vivo o in videocassetta).

5. JUGOSLAVIA, 1968

Per questa squadra mi rifaccio alle parole e ai racconti di zii e nonni che hanno vissuto quell’Europeo a casa nostra.

L’Italia arriva in finale baciata dalla fortuna: basti pensare che in semifinale (i rigori furono introdotti poco dopo) “vinse” contro l’Unione Sovietica grazie al lancio della monetina dopo che il campo non aveva dato nè vinti nè vincitori (0-0).

In finale però ci si presenta di fronte una squadra da molti considerata la squadra da battere: la Jugoslavia. Il loro percorso è certamente più nobile del nostro: tutte vittorie sul campo, tra cui la semifinale contro l’Inghilterra detentrice del titolo di Campione del Mondo (1966).

La Jugoslavia arriva a quell’appuntamento con una squadra forte fisicamente e con una difesa fino a quel momento inespugnabile. Epicentro tecnico però è Dzajic, punta che costruì le fortune della Stella Rossa di Belgrado (che trascinò fino ad una semifinale di Coppa dei Campioni). Ad oggi Dzajic è ancora considerato, dai paesi dell’ ex Jugoslavia, come il giocatore più forte mai esistito in patria.

E nella prima finale lo dimostrò. La Nazionale italiana del 1968 era una nazionale forte ma molto ingenua e molto impulsiva. Al 38mo del primo tempo (che dai racconti che mi sono giunti fu un assedio degli avversari) Dzajic trova il gol. 1-0.

L’Italia fatica, si innervosisce e non riesce a reagire. Anzi Zoff nel secondo tempo deve salvare il risultato in due-tre occasioni. Al”80mo però, quando tutto sembra perduto, Domenghini trova l’insperato pareggio direttamente da punizione. 1-1.

Prima ho usato l’espressione “prima” finale. Ebbene, nel regolamento di allora si prevedeva che la finale, se i 120 minuti non avessero dato un verdetto, si sarebbe dovuta ripetere. La partita venne quindi ripetuta due giorni dopo, il 10 giugno 1968.

Ciò che ha sempre contraddistinto la nostra Nazionale è la strategia: Valcareggi ha studiato l’avversario, lo ha capito ed ha pronto un piano per la seconda sfida. Cambia 5 degli 11 titolari, mentre la Jugoslavia ne cambia solo 1. Il piano funziona, la partita è un monologo azzurro. La “gabbia” costruita intorno a Dzajic funziona perfettamente e le magie di Riva e Anastasi fanno sì che proprio davanti al proprio pubblico si festeggi quello che ad oggi è il nostro unico Europeo vinto. 2-0 e Stadio Olimpico in festa.

4. ARGENTINA, 1982

I Mondiali spagnoli dl 1982 sono per ognuno di noi sinonimo di festa e gaudio, vista la vittoria finale. Ma il percorso italiano (nemmeno a dirlo) non fu rose e fiori.

Dopo dei gironi al limite dell’imbarazzante gli Azzurri capitano in un triangolare formato da Brasile e Argentina (ai tempi non c’erano ottavi e quarti, dovevi fare dei triangolari per accedere alle semifinali). Sembriamo le vittime sacrificali di quel mini-girone, considerando il valore degli avversari.

Del Brasile ne parlerò “più su” in classifica. Menzione va fatta qui però per un’Argentina (allora detentrice del titolo) che poteva annoverare fra i tanti Ardiles, Gallago, Passarella, Kempes (eroe quattro anni prima) e, soprattutto, Maradona. Non credo servano presentazioni per il Pibe de Oro, insomma una squadra “cattiva” con l’estro di Maradona a giostrare la manovra.

L’Argentina del 1982 incarna proprio l’antitesi del Brasile di quel mondiale: al futebol bailado carioca gli argentini frappongono un “calcio di strada”, cattivo, grintoso, difficile da affrontare. Tanto, per la qualità ci pensa Maradona.

L’Italia che arriva a quella sfida è un’Italia criticatissima in patria per un girone vergognoso e già pronta per il volo di ritorno. Manca di tutto, qualità, tenacia, cuore. Dopo i gironi qualcosa però scatta e nella partita con i biancocelesti si capisce fin da subito. Affrontano l’Argentina con le loro stesse armi, cattiveria e anima. Ne risulta una partita rigida, scorretta ma equilibrata (ipotesi non contemplata alla vigilia).

E Maradona come si ferma? A turno ogni difensore va in marcatura ad uomo sul numero 10 avversario, in modo da non permettergli la giocata facile e “permettendoci” qualche fallo per fermarlo: quando Collovati viene ammonito allora il giocatore “passa” a Cabrini, e così via evitando l’espulsione.

Quando una partita non si sblocca ad innervosirsi è la squadra favorita, in questo caso l’Argentina. Nel secondo tempo l’ albiceleste va in confusione fin dalle prime battute e l’Italia ne approfitta trovando in rapida successione l’1 (Tardelli) e il 2 (Cabrini) a 0. Inutile nel finale il gol di Passarella, che sa di rimpianto.

L’Italia in quella partita trova una consapevolezza ed un coraggio che risulteranno determinanti più avanti.

https://www.youtube.com/watch?v=yDV5SQ4YFVE&ab_channel=StoriedicalcioStoriedicalcio

3. GERMANIA DELL’OVEST 1970

La partita del secolo. Per i media lo scontro avvenuto in semifinale dei Mondiali il 17 giugno 1970 a Città del Messico è la partita ufficiale più entusiasmante del 20mo secolo. Protagoniste? Le eterne rivali, Germania dell’ Ovest e Italia.

L’Italia, seppur vincitrice dell’Europeo due anni prima, arriva alla sfida leggermente sfavorita: la squadra sembrava comunque ben costruita ma alcune assenze come quella di Dino Zoff o Anastasi pesavano assai.

D’altro canto la Germania dell’Ovest nel 1970 era una squadra formata da giovanissimi futuri campioni che negli 8 anni successivi avrebbero vinto due Europei e un Mondiale. Fra tutti i giocatori due in particolare sono tuttora considerati fra i più forti calciatori della storia: Franz Beckenbauer e Thomas Müller. Due giocatori destinati a scrivere pagine importanti della storia del calcio (si stima che Thomas Müller abbia segnato tra club e nazionale circa 700 gol). Oltre a loro classica squadra tedesca, estremamente fisica e rocciosa (vedasi Patzke e Schnellinger). Abbastanza, secondo gli esperti dell’epoca, per strappare il pass per la finale.

Le sfide fra Germania e Italia hanno sempre avuto una storia a sè. Ecco, quella partita ebbe una saga tutta sua.

Pronti via e l’Italia va subito in vantaggio. “Bonimba” Boninsegna approfitta di un rimpallo fortuito e dal limite dell’aria batte Maier. Siamo avanti. La partita poi prosegue sul filo del nervosismo: i tedeschi attaccano ma il classico “catenaccio” all’italiana regge l’urto. All’89mo Albertosi, ai tempi vice di Zoff, salva un pericoloso colpo di testa di Seeler. Dalla panchina già si iniziano i primi timidi festeggiamenti: ai tempi infatti non era consuetudini concedere il recupero oltre il 90mo minuto.

Albertosi rinvia, ma l’arbitro non fischia. La Germania attacca, l’Italia allontana ma ancora Yamasaki (l’arbitro) non decreta la fine dei giochi. Si arriva quindi al 92mo minuto di gioco quando sull’ennesimo spiovente si libera il milanista Schnellinger che insacca. Gli azzurri sono furenti verso la terna arbitraria per quell’ingustificabile recupero. 1-1.

«Due minuti oltre il tempo regolamentare: un recupero clamoroso concesso dall’arbitro Yamasaki!» esclamerà Nando Martellini, telecronista italiano.

Proteste vane, si va ai supplementari. Qui inizia lo spettacolo.

94mo minuto, calcio d’angolo per la Germania. Poletti non allontana un pallone innocuo e, come un avvoltoio, Thomas Müller si getta sul pallone toccandolo di quel tanto che basta. 1-2. Pare tutto finito.

Pare perchè due minuti dopo la Germania potrebbe chiudere la partita ma Albertosi si esalta su Libuda. Capovolgimento di fronte e Riva viene fermato fallosamente sulla trequarti. Da quella punizione nasce una mischia che l’insospettabile Burgnich alla prima (ed ultima) marcatura azzurra ribadisce in rete. 2-2.

Si va alla pausa dei supplementari pari? No, assolutamente. Gigi Riva non ci sta e sullo scadere del 105mo minuto dopo un grande assolo deposita in rete il gol del 3-2. Andiamo al mini break in vantaggio.

A rendere idea del lignaggio dell’avversario ci appelliamo all’immagine di quel Franz Beckenbauer che si ripresenta in campo con una fasciatura alla spalla improvvisata. Scoprirà poi di essersela lussata, ma non poteva abbandonare la sua squadra nel momento del bisogno. Spinti da questa immagine forte ed iconica i tedeschi trovano le energie necessarie per il pareggio. Ancora calcio d’angolo, ancora un pallone sporco e ancora Thomas Müller a spizzarla. 3-3 e tutto da rifare.

Ma neanche il tempo di esultare che Rivera approfitta di un encomiabile Boninsegna che ha ancora energie e riesce ad inserirsi sula fascia sinistra e a crossare in mezzo. Piattone della bandiera rossonera e Maier battuto per il 4-3. Stavolta è definitivo. Al termine dei 120 minuti più emozionanti e con più capovolgimenti di fronte della storia l’Italia vince e si aggiudica il passaggio del turno per la finale contro il Brasile.

https://www.youtube.com/watch?v=Hbi7TTp_txs&ab_channel=VintageSport

2. Francia 2006

Per un ragazzo che nel 2006 aveva 10 anni quell’anno segna un prima e un dopo. Calciofilo fin da allora, provai una gioia simile legata a quello sport solo 4 anni dopo (ma questa è un’altra storia..).

La gioia e l’ingorda emozione che ci regalò il 9 luglio però potrebbe far passare in secondo piano chi avevamo di fronte.

L’Italia era una Nazionale forte, fortissima, difesa guidata da un Cannavaro che meritò il Pallone d’Oro, centrocampo orchestrato da Pirlo e Gattuso (mediana che fece le fortune del Milan) e attacco formato da Totti e Toni, dalle caratteristiche complementari.

Ma l’ Italia non era la più forte. Oltre al solito Brasile infarcito di campioni c’era infatti la Francia di Raymond Domenech. La rosa aveva un giusto mix di giovani in rampa di lancio (vedasi Ribery) e top player arrivati nel 2006 al culmine di forma delle loro carriere. E poi lui, Zinedine Zidane, alla sua ultima partita prima del ritiro dal calcio giocato. Illustre genio (lo dimostrerà pure come allenatore) al suo ultimo atto.

Allego qui sotto le due formazioni senza che io debba dirvi quanto fosse forte ogni singolo giocatore dei Transalpini

Penso che fare un “racconto” della partita sia quasi superfluo: se avete aperto questo articolo sapete che, in una qualche posizione, avremmo trovato la Francia del 2006. Quindi riassumendo tutto: Zidane dopo pochi minuti segna su rigore col cucchiaio. 1-0. Al 19mo Materazzi pareggia.1.1. Nei supplementari la celebre testata di Zidane proprio al nostr numero 23. Espulso e macchia indelebile nella sua carriera. Nella lotteria dei rigori sbaglia Trezeguet, noi no. Grosso segna e siamo Campioni del Mondo.

Vorrei concentrarmi su quanto il Destino sembrava aver disegnato quella partita come una vittoria “francese”:

  1. Zidane alla sua ultima partita: il calcio ha sempre un retrogusto romantico. Immaginate che bel finale per Zizou chiudere baciando la Coppa del Mondo. Lo storytelling sportivo invece rimarrà deluso: Zidane tirerà fuori sul più bello il peggio di sè: quel carattere impulsivo che troppe volte lo ha sopraffatto.
  2. Zidane che segna col cucchiaio. A riportare in auge questo tipo di tiro (dopo lo storico Palinka, a cui si deve l’invenzione) fu proprio un italiano 6 anni prima, Totti. Una mazzata psicologica devastante ( soprattutto per Totti, che era in campo).
  3. La partita preparata bene. Oltre ad essere nei singoli più forti, la Francia arrivò alla partita con una idea tattica giusta (queste riflessione le sviluppai di certo non lì per lì ma guardando e riguardando la partita in VHS). Basti dire che Lippi fu costretto a tirare fuori Totti dopo appena 60 minuti di gioco proprio perchè la gabbia intorno a lui (usando un gergo tecnico) “non gli fece vedere biglia”. Togliere Totti a quella squadra era togliere una grossa fetta di imprevidibilità.
  4. Il gol annullato agli Azzurri. In un secondo tempo di sofferenza allucinante Toni trovò la via del gol con una spizzata su punizione. Gol annullato per un presunto fuorigioco del nr.9. Le immagini poi riveleranno come Luca fosse in posizione assolutamente regolare. Già l’Italia annaspa, se queste “botte di fortuna” ci vengono tolte come facciamo?
  5. I rigori. Italia 1990, USA 1994, Francia 1998. Hanno tutti una cosa in comune: l’Italia sconfitta ai rigori. Nel 2006 è ancora vivido il ricordo di quegli anni ’90 maledetti. Inoltre i rigori hanno sempre sorriso ai francesi, che non perdevano dagli 11 metri da 40 anni.

Ma per fortuna, oggi raccontiamo un finale inedito

1. Brasile 1982

Ed eccoci tornati al 1982. A quel triangolare che ci ha visto vincitori nella prima partita con l’Argentina per 2-1. Nel secondo match la squadra di Maradona capitolerà per 3-1 contro un Brasile che sembra avere la strada spianata per la vittoria finale.

All’Italia quindi per differenza reti non basta un pareggio. Deve vincere contro i verdeoro.

Partiamo dagli azzurri, che hanno, a detta di stampa “nostra” una nazionale costruita male, poco unita e destinata al fallimento. Eppure, la sfida con l’Argentina ha cambiato qualcosa. Non è stata fortuna, l’Italia ha meritato di vincere quella partita. I mezzi per fare bella figura ci sono, il gruppo sembra aver preso consapevolezza di questo.

C’è però una sostanziale differenza tra fare bella figura e vincere. La rosa del Brasile è fatta per vincere.

Per molti esperti del mondo del pallone quel Brasile, proprio in quel Mondiale, è la Nazionale più forte mai vista. Più forte addirittura del Brasile che nel 1970 vinse quasi passeggiando proprio in finale contro l’Italia.

La selezione carioca abbinava alla costante qualità individuale ( Socrates, Falcao, Zico, solo per citarne alcuni) una insolita abilità nel sapersi difendere. Gente come Oscar, Junior e Luisinho farà le fortune del proprio club di appartenenza. Insomma, il Brasile ha un solo difetto, che vedremo fra poco. Il finale comunque pare già scritto.

L’Italia invece inizia la partita in una maniera gagliarda, imprevista dai verdeoro e pure dagli spettatori. Spinta dalla leggerezza dettata dal “non abbiamo nulla da perdere” l’Italia si trova in vantaggio al quinto minuto grazie al colpo di testa di Paolo Rossi, che diventerà l’eroe di quel Mondiale. 1-0.

Neanche il tempo di festeggiare che il Brasile si riorganizza, inizia a macinare gioco e campo e Socrates al 12mo minuto trova subito il pari. 1-1 e si inizia col futebol bailado. L’Italia si oppone con qualsiasi mezzo abbia a disposizione (anche con un po’ di furbizia), ma nonostante l’impegno profuso è evidente che il Brasile abbia una marcia in più. Ma un punto debole i carioca lo hanno. Si chiama Serginho.

Il brasiliano meno brasiliano che esista. La punta centrale alta quasi due metri alza i gomiti e lotta come un giocatore di provincia, ed in alcuni contesti questa attitudine può anche funzionare. In quel Brasile è un pesce fuor d’acqua e ogni pallone che giunge dalle sue parti è un sospiro di sollievo per gli italiani (basti vedere il gol che si mangia al 17mo a tu per tu con Zoff).

Passano i minuti e il Brasile non riesce a sfondare. L’Italia pian piano allora torna a prendere coraggio e al 25mo Rossi si getta su un pallone gestito male da Cerezo, si presenta solo contro Valdir e lo fredda. All’improvviso è 2-1 Italia.

Il Brasile non si perde d’animo e torna a macinare gioco, ma lo spirito di abnegazione degli 11 giocatori azzurri è encomiabile nel non permettere ai verdeoro di trovare la via del gol.

Fino al 68mo. Quando uno è più forte lo dimostra prima o poi. Falcao raccoglie un pallone al limite dell’aria e, con una semplice finta, manda a vuoto due difensori azzurri trovando lo spazio per il suo sinistro. Zoff, fino a quel momento impeccabile, non può farci proprio nulla. 2-2 e passaggio del turno al Brasile.

O forse no. Forse no perchè lo sport regala spesso eroi inaspettati. Quel 5 luglio 1982 l’eroe è Paolo Rossi. Il Brasile ha la colpa di non gestire il risultato: non lo sanno fare, non è nel loro DNA. Dopo il 2-2 continuano ad attaccare cercando il gol del vantaggio.

E così, su un calcio d’angolo azzurro, Tardelli si avventa su un pallone sporco e lo calcia verso la porta di Valdir. Tiro debole, prevedibile se non fosse per Paolo Rossi che lo tocca di quel che basta per mandare fuori tempo tutti. Tripletta e 3-2.

Finale a tinte verdeoro con un assedio infinito. L’Italia però ora vede troppo vicina l’impresa per arrendersi. E così, dopo un miracolo di Zoff su Oscar all’89mo, l’arbitro Klein mise bocca al fischietto: triplice fischio e Italia che passa il turno.

Ad oggi, sia italiani che brasiliani, ritengono quella partita come una partita incredibile nel verdetto. Nessuno avrebbe mai pensato che quel Brasile potesse tornare in patria senza la Coppa.

Ma quella sera Paolo Rossi, allo stadio Sarrìa di Barcellona, divenne Pablito.

Riconducendoci all’inizio, è giusto ricordarsi dei grandi risultati della nostra Nazionale. Ma ricordarli attraverso la grandezza degli avversari trovo sia ancora meglio.

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