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ALL’ULTIMO RESPIRO

16 Giugno 2020

Il basket alla sua maniera porta con sé sofferenza, gioie, delusioni e speranze. Ecco come, grazie all’Aquila Basket, lo ho capito. 

E’ partito tutto con un semplice ritrovo serale, a guardare del sano sport. Abitualmente il soggetto era la classica partita di calcio del week end, o la Champions durante la settimana, ma in quel Giugno del 2017 la squadra della mia città, L’Aquila Basket Trento, affrontava i play off della massima serie. Si cominciò dunque a seguirne le gesta. Guidato da amici che ne sapevano di più, per la prima volta mi ritrovai a sperimentare un nuovo tipo di competitività. 

La prima cosa che mi ha colpito osservando una partita di basket era l’intensità. Il campo stretto permette una maggiore velocità d’esecuzione nelle transizioni tra squadra che difende e squadra che attacca, e il ritmo di gioco, per quanto possibile, va mantenuto sempre ad alto livello. Al ritmo elevato si accompagna la concentrazione del giocatore. Si necessita di non poter sbagliare nulla, poiché la più piccola sbavatura può portare al repentino contropiede avversario. I cambi permettono all’allenatore di mantenere a livello adeguato queste due componenti. La velocità di questo sport permette alle partite, quando possibile, di raccogliere una gran varietà di emozioni. La speranza di recuperare uno svantaggio è sempre dietro l’angolo, e non si può mai stare tranquilli fino alla sirena finale. 

Riguardo alle peculiarità dei giocatori, personalmente, sono riuscito a conoscere ed apprezzare particolarmente quelli della mia città, vedendo il cuore e la passione nei loro occhi, e nelle loro giocate. Trento ha avuto la nomea di essere una squadra di gran cuore, più che di strepitosi tiratori. Era una squadra che traeva la sua forza dai rimbalzi, e dal non mollare mai, anche se l’impresa è difficile. Una caratteristica che mi piace sempre apprezzare in qualsiasi sport.

Ad onore di quella squadra, cercherò di descrivere quello che secondo me è stato il punto più alto del suo splendore, ovvero la seconda finale consecutiva nei playoff nel 2018. 

In quella sfida l’aggressiva Trento si affaccia ai giganti dell’Olimpia Milano, squadra diametralmente opposta per caratteristiche tecniche. La differenza stava anche nel palazzetto: da una parte, il capiente e moderno impianto milanese del Mediolanum Forum, dall’altra, il più modesto palazzetto trentino, che con gli anni che passavano e i continui successi, era riuscito ad avvicinare sempre più gente alla palla a spicchi, andando a creare un caldo e sinceramente appassionato tifo. 

Ci si affaccia alla sfida privi della giovane promessa Italiana Diego Flaccadori, causa infortunio. Nonostante questo e gli sfavori del pronostico, gli uomini di coach Buscaglia, alla guida della squadra dal 2010 (aveva già allenato la squadra dal 2003 al 2007, prima di una parentesi al Mestre e al Perugia) e autore della scalata di Trento verso la massima serie, sono determinati ad acciuffare la vittoria. Guidati dal fedelissimo capitano Toto Forray, playmaker in squadra dal 2011, è pronto assieme ai suoi compagni a provare l’impresa sfumata l’anno prima. 

Poche sono le differenze rispetto all’anno prima nell’organico della squadra, i grandi interpreti rimangono più o meno gli stessi. In fase difensiva, importantissimo l’apporto dato dal rimbalzista Dustin Hogue. Il gigante portoghese Beto Gomes presidia ogni fase con energia e grinta infinita, conquistandosi spesso punti e recuperi chiave. Nello stesso ruolo di ala piccola, l’immarcabile e determinato Shavon Shields dona dinamicità e punti sicuri alla compagine. L’altro gigante della squadra, nonché punto di riferimento della squadra, è Dominique Sutton, altezza 1,96 per 96kg di arroganza agonistica che conferma l’anima della squadra, sia rimbalzista che schiacciatore. 

A dare fiato al capitano nel ruolo di playmaker, Jorge Gutierrez, nella mia memoria un impazzito testardo che in pochi secondi passava da un fallo di dubbia validità a giocate matte per cui esultare, a cui ho voluto sinceramente bene per questa sua natura. Ojars Silins, un buon tiratore da 3 punti. Yannick Franke, giovane guardia che ha avuto qualche occasione per brillare. Luca Lechtaler, unico centro in squadra messo soprattutto in funzione di svolgere il lavoro sporco difensivo con il suo fisico roccioso. Un organico molto più ristretto rispetto a quello dell’Olimpia, che si può permettere una panchina più lunga. 

Alle prime due partite della serie da sette in trasferta L’Aquila cade, portando l’Olimpia in vantaggio nella serie, ma il calore del palazzetto trentino risollevano le sorti e lo spettacolo della squadra, portando il punteggio parziale della serie sul 2 a 2. E’ sicuramente gara 5 la più combattuta e simbolo della sfida tra le due compagini. Alle incursioni e le triple di Goudelock, Jerrels e Cinciarini, rispondono Shields incontenibile e le schiacciate di Sutton. Non si evidenzia mai un vantaggio significativo da costringere alla resa, anche perché questa parola è sconosciuta all’Aquila e il duello continua, dando luce ad un quarto quarto spettacolare e denso di emozioni, dove il tempo scorre lentamente e ogni possesso è decisivo e pesantissimo. 

E’ qui che si giunge all’apice del confronto. Qui si capisce che non si può mai mollare la presa sulla vittoria. L’ultimo minuto è un continuo susseguirsi di vantaggi minimi di Milano e Trento. E’ un testa a testa che tiene incollati alla poltrona ad occhi sbarrati. Dopo una tripla di Shields che porta in vantaggio Trento per 90-89, a 6.50 secondi dalla fine è lo stesso Shields a commettere fallo su Jerrels, che dalla lunetta fa 2 su 2. 

Ultimo possesso. Ultimo attacco per l’Aquila, che deve fare in fretta per sperare di portare a casa il vantaggio. Palla a Gutierrez, che trova l’inserimento sotto canestro di Sutton, lo serve e il tempo si ferma. Questo momento è ciò che più rappresenta per me il basket: in una sola azione, in un solo secondo, c’è la sintesi di tutta una partita che porta con sé il carico emotivo di un’intera battaglia. In un secondo si decide la vittoria o la sconfitta. Tante volte si è visto Sutton schiacciare prepotentemente per affermare superiorità, ed è quello che tutti i tifosi trentini sperano di vedere in questo maledetto secondo, ma è l’MVP Andrew Goudelock a imporsi tra la mano di Sutton e il suo canestro, portando al trionfo la sua squadra e i suoi tifosi, che esplodono in un boato di gioia. 

In gara 6, Milano dimostrerà di meritare il titolo, imponendosi nell’allora inespugnabile palazzetto trentino. Trento perde per 4 a 2 come l’anno prima, e il titolo sfuma di nuovo, ma non c’è da rattristarsi troppo. All’Aquila va il merito del solo aver fatto sognare una piccola città che da outsider ha sperato fino all’ultimo di vincere il titolo, e personalmente li ringrazio di avermi fatto avvicinare al Basket grazie alla loro passione. 

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