“C’era una volta l’Italia, il Paese del moralismo”. Se la vita fosse una di quelle moralistiche e gustose fiabe che ci raccontavano da piccoli inizierebbe sicuramente così. Perché qui il moralismo è un atteggiamento, uno stile di vita e, addirittura, l’arma politica primaria di tutti i rappresentanti, o aspiranti tali, del popolo. Tutto in sfregio della libertà, com’è ovvio. Ed è per questo che nasce questo articolo, per raccontare qualche episodio e qualche filone della vita pubblica che meritano di essere ricordati.
Premessa: quando si parla di destra e sinistra, si parla di fenomeni complessi in cui non tutti i membri si sono comportati allo stesso modo. L'idea è quella di evidenziare un trend, non di demonizzare l'una o l'altra parte.
Il moralismo pentastellato: un caso studio
Il Movimento 5 Stelle nella sua prima fase ha fatto del moralismo la sua ragion d’essere. Erano tutti corrotti tranne loro, tutti disonesti tranne loro, tutti al soldo della finanza tranne loro, tutti dalla parte del palazzo tranne loro. Eppure, dopo più di dieci anni possiamo tranquillamente dire che i grillini non hanno portato nulla di positivo nell’agone politico al di fuori del desiderio popolare di farli sparire dal Parlamento.
La sinistra che ben pensa, casa naturale del moralismo
Personalmente non mi sono stupito del matrimonio tra M5S e sinistra perché sono stati uniti nel moralismo ancor prima che sui temi sociali, o presunti tali. Non è un caso che Conte, presidente dei pentastellati, e Provenzano, vicesegretario del PD appartenente alla corrente più radicale, abbiano ritirato fuori la questione morale di Berlinguer.
Riavvolgiamo il nastro. Quelli che stavano con Berlusconi, decine di milioni di italiani, erano per partito preso corrotti, ignoranti e sessisti. Tutti. La mania antiberlusconiana è stata così sfrenata da impedire alle coalizioni di fare alcunché, tutti troppo concentrati a dare contro a Silvio. Stesso copione ripetuto, ovviamente, con Salvini e, vedrete, Meloni. Tutti e tre, insieme alla totalità dei loro elettori e dirigenti di partito, accusati a momenti alterni di essere fascisti. Tutti indistinguibilmente. La cosa è evidentemente ridicola, ma fa ancora presa e offusca la vista. I problemi all’origine del loro successo non vengono affrontati.
Che poi, a me Berlusconi non piace. Idem Salvini e Meloni. Non mi interessa difenderli, né tanto meno difendere ciò che hanno rappresentato e rappresentano. Parliamo di politici che, secondo la mia personale opinione, sostanzialmente hanno fatto il male dell’Italia, contribuendo al declino più di quanto abbiano impedito alla sinistra post-comunista di far danni.
Alla fine, l’ultimo governo Berlusconi era attaccato più per le preferenze sessuali, con festini annessi, dell’allora Cavaliere piuttosto che per la politica economica deleteria del suo esecutivo. Il motivo? Fassina, allora responsabile economico della sinistra che ben pensava, aveva le stesse posizioni di Tremonti, tanto è vero che servì Monti per fare un nuovo governo. Ma di questo nulla è rimasto al di fuori del moralismo.
La destra non se la cava meglio
Mentre la sinistra si è sempre battuta per “sconfiggere le destre” in quanto tali, la destra si è battuta per “sconfiggere la sinistra”. Al di là del fatto che vorrei capire perché le destre sono tante e la sinistra è una, emerge la totale scomparsa della discussione nel merito dei problemi. Bisognava e bisogna votare a destra, secondo i vari leader succedutisi, “altrimenti arrivano i comunisti”.
Idem come sopra. Lungi da me difendere il PD, ma la superiorità morale di cui si ammanta da sempre la sinistra, e di cui si lamenta da sempre la destra, è bilanciata alla superiorità morale della destra “vicina al popolo e alle sue esigenze”. Il punto è la specularità dei due schieramenti, terribilmente avvilente.
Diritti e libertà civili, questi sconosciuti
Una delle assurde presunzioni della destra è sempre stata quella di dire alla gente come comportarsi nella propria vita quotidiana. Niente aborto, niente omosessuali, niente transgender, niente educazione sessuale, niente eutanasia, niente gestazione per altri, niente droghe leggere. Niente di niente e potremmo continuare ore.
Non rientro tra quelli che si stracciano le vesti di fronte a idee simili, capisco che per qualcuno i tempi di accettazione del mondo che cambia siano più lunghi così come comprendo che questo comporti dei problemi. Il punto è che davvero non si capisce la necessarietà di combattere per vietare qualcosa quando si può lasciare la libertà di scelta e, se si è convinti della propria posizione, criticarla. Perché c’è il perenne tentativo di imporre la propria etica agli altri? Perché non si riconosce la dimensione individuale delle proprie convinzioni? Chi ha deciso che la famiglia tradizionale dev’essere l’unico veicolo di una serie di valori fondamentali su cui l’Occidente ha costruito decenni di benessere?
Così come la sinistra ama la pianificazione economica, la destra ama la pianificazione della vita privata. As simple as that.
Gli elettori non sanno votare
Un grande classico della politica italiana l’acrimonia nei confronti di chi vota in modo difforme dalle proprie aspettative. Perché, com’è evidente, è facile dir agli elettori che non capiscono niente, è un po’ più complesso capire perché votano partiti improbabili, candidati impreparati e coalizioni sgangherate.
Pure Calenda, leader di Azione e autore di un fresco libro (La libertà che non libera, La Nave di Teseo) in cui il moralismo è la lente di osservazione del mondo, ci è cascato. Il concorso di “colpe” è chiaro, ma lui addossa tutta la responsabilità ai cittadini. Votate male, arrangiatevi. Il moralismo diventa così una piega elettorale, ora può star certo di non pescare nemmeno un voto da quell’elettorato.
Umberto Eco, una garanzia di moralismo
“Che senso ha parlare a questi elettori di off shore, quando al massimo su quelle spiagge esotiche desiderano poter fare una settimana di vacanza con volo charter? Che senso ha parlare a questi elettori dell’Economist, quando ignorano anche il titolo di molti giornali italiani e non sanno di che tendenza siano, e salendo in treno comperano indifferentemente una rivista di destra o di sinistra purché ci sia un sedere in copertina?”
Umberto Eco
Questa citazione di Umberto Eco, risalente a un pezzo pubblicato da Repubblica nel 2001, è emblematica della considerazione che la sinistra, capitanata dai propri intellettuali, aveva degli elettori del centrodestra. Ricchi, ostentatori, evasori fiscali, ignoranti. Tutti. Capolavoro. Un mix del “votate male”, dell’utilizzo degli stereotipi e della presunzione morale tipica della sua parte politica.
Sei altro da me? Allora sei un povero fesso.
Al di là della presunzione, si evince anche una totale assenza di accettazione del dissenso. Anziché comprendere che le culture politiche sono tante, perché i valori non negoziabili non sono uguali per tutti, quindi i partiti hanno visioni diverse, chi perde, o nemmeno si presenta, scalcia e raglia come un asino.
Anziché accettare che un conservatore non ha la visione del mondo di un progressista o che un liberale non condivide il punto di vista di un socialista, si organizzano guerre di religione che hanno un unico obiettivo: demonizzare l’avversario, dipingendolo come moralmente indegno.
Chi pone obiezioni tecniche al ddl Zan è reazionario. Chi fa cadere il governo Conte II è come Orban. Coloro che partecipano al Gay Pride si rendono complici di una carnevalata. Quelli che ne criticano gli eccessi per i più disparati motivi sono brutti e cattivi.
Così, essere contro lo strumento di policy “reddito di cittadinanza” diventa sinonimo di odiare i poveri. Essere ostili a Quota100 si trasforma nel desiderio di vedere i pensionati rovistare nei cassonetti. Così avere dei dubbi sull’utilità e l’opportunità di indire e partecipare ai referendum abrogativi, nel momento in cui incidono su materie che presuppongono una conoscenza approfondita di temi tecnici, significa essere ostili alla democrazia.
È tutto riconducibile a una questione morale, sempre e comunque.
Un articolo non moralista, si spera
Arrivato alla fine dell’articolo mi sto chiedendo se ho solo fatto un pippone moralista (sic) in cui giudico gli altri. Credo di no perché spero di distinguermi da quella massa di moralisti nella conclusione.
Il punto vero, a mio avviso, è che in questo trionfo di moralismo è la libertà a farne le spese. Nella jihad del moralismo, quindi, le vittime diventano automaticamente le persone qualunque che, con le proprie convinzioni e le proprie imperfezioni, si ritrovano sempre nell’occhio del ciclone. Nessuno è più libero di sbagliare, di riconoscersi in valori diversi, di rivendicare scelte impopolari ancorché talvolta errate.
Una classe dirigente paternalista sarà portata a disegnare, legittimamente s’intende, uno Stato etico, politicamente corretto o scorretto a seconda del governante di turno. Non sto parlando dell’interpretazione complottista della “dittatura del pensiero unico” di cui ciancia la destra mentre prova ad affermarne la propria versione. È qualcosa di più sottile e subdolo.
Non sto dicendo che arrivi un’imposizione violenta da parte delle culture e delle parti politiche in questione. Sto dicendo che è in corso un tentativo smaccato di far assimilare principi partigiani, che allo stesso tempo delegittimano tutti gli altri punti di vista, come buonsenso. Non è la prima volta, si dirà, e non accade solo in Italia. Ma la cultura della libertà in Italia è sempre stata debole e, purtroppo, ora lo sembra particolarmente. È imperativo difendersi.