A vent’anni dai fatti del G8 di Genova le istanze progressiste e di rinnovamento della società sono le stesse: clima, migranti, giustizia sociale, sostenibilità. La repressione da parte dello Stato ha contribuito, a congelare il cambiamento. Ora la sfida viene lanciata alle nuove generazioni.
Per capire la Storia recente, per comprendere meglio le società in cui viviamo – quantomeno quelle occidentali – serve passare per il G8 di Genova. A partire da quelli che lo hanno vissuto in prima linea, fino ai commentatori e ai cittadini più distaccati, per quasi tutti il G8 del 2001 ha segnato uno spartiacque. In quei giorni, è stato fissato un confine temporale con un prima e un dopo ben precisi.
Il G8 di Genova, così come fece successivamente l’attacco dell’11 settembre 2001 alle Twin Towers di New York, ha trasformato il nostro Paese e la partecipazione politica di tanti altri Stati. Lo mostra bene Annalisa Camilli con il suo podcast per l’Internazionale: Limoni, il G8 di Genova vent’anni dopo. Quello che emerge dal reportage della giornalista italiana è proprio la narrazione di un evento che ha fatto la Storia. La storia di uno Stato di polizia che si mostra forte con i deboli e totalmente assente quando dovrebbe invece proteggere i suoi cittadini. La storia della perdita di fiducia di molti cittadini nelle istituzioni. La fine delle tante storie di attivismo e militanza che si erano radunate sulla costa ligure per portare i loro frutti, e trovarono invece le spranghe.
G8 di Genova: il buio del pozzo
Una cosa in particolare accomuna i molti riunitisi a Genova: dopo quelle fatidiche giornate di scontri e pestaggi spietati, in tanti hanno smesso di vivere pubblicamente la politica. C’era bisogno di fermarsi e cercare di lasciar depositare gli eventi, la necessità tutta umana di rielaborare ciò che era successo. In molti hanno scelto di ritirarsi a vita privata, e quelli che hanno continuato a partecipare attivamente alle lotte di cui erano portavoce, lo hanno fatto nella quotidianità, lontano dalle piazze.
Questo è stato il più grande successo raggiunto dal sistema di repressione messo in atto al G8 di Genova del 2001, inibire le forze giovani e progressiste che si erano organizzate e gridavano a gran voce che un altro mondo è possibile.
Terrore e tortura come armi di controllo
Il film Black Block di Carlo Bachschmidt, documentario sui fatti della Diaz e di Bolzaneto, restituisce le esperienze dirette e le conseguenze su chi c’era, riportando un passaggio chiave utile per la comprensione degli effetti del G8. Durante il racconto della propria esperienza, una delle tante persone seviziate nei corridoi della scuola Pertini-Diaz, riporta che al suo rientro in Germania descrivendo ai suoi amici e alla sua famiglia cosa gli era successo, poteva leggere il terrore nei loro occhi. Il fatto, emblematico e quasi paradossale, è che lui non aveva così paura come loro.
La repressione di Genova è riuscita nell’intento, colpirne pochi per spezzarne molti. Si è riusciti a trasmettere paura anche a quelli che a Genova non c’erano. Il G8 di Genova è diventato così un pozzo buio, che ha inghiottito molte energie e potenzialità. Un pozzo buio in cui è caduto il movimento no-global, anche detto il movimento dei movimenti.
Il movimento, creatosi attorno al Genoa Social Forum, era formato da una bellissima moltitudine di movimenti e istanze tra le più diverse. Rete Lilliput, cristiani, comunisti, tute bianche, gruppo pink, disobbedienti, centri sociali, sindacati e molti altri. Tra loro, anche il tanto famigerato e altrettanto poco conosciuto blocco nero alias black bloc.
Tutto questo, come ci ricorda Philopat, è stato trasformato in un gran disastro. A vent’anni di distanza, siamo ancora a discutere di protezione climatica, migranti, giustizia sociale e sostenibilità del sistema economico. Queste istanze erano già tutte lì, al G8 del 2001, proposte dal Genoa Social Forum. Se si fossero ascoltate quelle voci, invece di reprimerle a colpi di spranga e lacrimogeni, oggi, forse, saremo ancora in tempo per salvarci e salvare il nostro pianeta.
La risposta è prendere l’acqua al pozzo
Il G8 di Genova può essere rappresentato come un pozzo nero. Ci si può cadere dentro e non uscirne più, ti ci possono spingere e spezzarti le ossa, ci possono gettare dentro la verità e perderla per sempre. Serve però ricordarsi, che per quanto fondo e buio possa essere quel pozzo, è pur sempre un pozzo e di solito nei pozzi ci sta l’acqua. È compito di chi viene dopo, di chi non è stato colpito direttamente, di chi non sa veramente come sia andata durante quei giorni bellissimi e terribili. Saranno le nuove generazioni, si spera, a raccogliere l’acqua dal pozzo per far crescere il seme che è stato piantato allora.
Di dare nuova vita al seme di Genova, ne parla anche il libro scritto a più mani e curato da Angelo Miotto: Genova per chi non c’era. Un documento importante per capire cosa è stato e cosa significa Genova. Un libro per non dimenticare ma soprattutto utile a ripensare Genova con gli occhi di oggi.
Rielaborare la memoria del G8 di Genova
Come ci ricorda Susan Sontag, il pensiero è più importante della memoria. Non serve ricordare a vuoto, ciò che serve è rielaborare. La pensatrice americana ci mette in guardia e sostiene che più importante di ricordare è pensare. Soprattutto, pensare bene. È di vitale importanza rifuggire le spietate banalizzazioni, gli schemi preconfezionati dell’ideologia. Cercare di allontanarsi dalle interpretazioni polarizzate adatte solo per due chiacchiere al bar.
Serve pensare bene, e poi agire. Anzi, agire ora, riproporre la forza catalizzatrice del movimento che si era formato nel 2001 attorno al Genoa Social Forum.
Manifestazione 21 luglio 2001 – www.micheleferraris.it (CC BY-SA 4.0) Carica in Corso Torino – (Wikimedia Commons CC-BY 2.5) Incidenti a Corso Torino – Ares Ferrari (CC BY-SA 2.5) Raduno allo Stadio Carlini – Ares Ferrari (CC BY-SA 2.5) Scudi dei Disobbedienti – Ares Ferrari (Multi-license with GFDL and Creative Commons CC-BY 2.5) Il gruppo dei Disobbedienti al G8 di Genova – Ares Ferrari Wikimedia Commons (CC BY-SA 3.0) Partito della Rifondazione Comunista al G8 di Genova (Wikimedia Commons)
Con il suo podcast Io che a Genova non c’ero, la giornalista Mariangela Paone intravede nei nuovi movimenti per il clima lo stesso entusiasmo e collante che si era creato in quegli anni attorno al movimento no global.
Fridays For Future e i tanti altri movimenti per il clima, potrebbero forse essere i custodi di quel seme e farlo crescere per garantire, a tutti noi, un futuro migliore. La sfida resta aperta.