metafora del liberale italiano
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L’irrimediabile inadeguatezza della classe dirigente liberale

14 Aprile 2023

Dopo tanto penare il partito unico dei liberaldemocratici non si farà. Ciò che salta all’occhio immediatamente è la profonda inadeguatezza di una classe dirigente che ha distrutto in poco tempo ciò che aveva impiegato troppo a costruire. Il liberale medio, insomma, non è granché in Italia, forse non è nemmeno liberale.

L’inizio della non-strada liberaldemocratica

Era il 2019 e Calenda voleva costruire una “cosa sua”. Parlava al congresso di Più Europa e attaccava ogni giorno Emiliano, governatore pugliese del PD. Inspiegabilmente, decise di legare la neonata Siamo Europei proprio al partito guidato allora da Nicola Zingaretti, riferimento dell’ala più a sinistra dei dem, in occasione delle elezioni europee. Più Europa rimase al palo e non superò lo sbarramento.

Da quel momento in poi si sono succedute una miriade di elezioni locali, tre governi e le elezioni politiche. Eppure, i leader hanno preferito farsi la guerra per anni a causa di questioni personali e di ego. Non si parla solo di Renzi e Calenda, ma di chiunque avesse un pacchetto minimamente cospicuo di voti.

Cosa è successo nel frattempo nel mondo liberale

Qual è stata la costante dalle europee? Ogni partito, ogni fondazione e ogni associazione ha partecipato, vincendo, alla gara del purismo e del puntacazzismo. Tutti i leader avevano il carisma di Berlinguer, la lungimiranza della Thatcher e le idee più belle del mondo. Chi stava nel centrodestra ci è rimasto, chi era nel centrosinistra ci è rimasto, qualcuno ha mollato e basta. Tutti tergiversavano anche perché temevano di perdere un posto al sole, o quantomeno al calduccio.

Nessuno era disposto a fare un passetto di lato o mezzo compromesso per una causa evidentemente condivisa da una parte non irrilevante dell’elettorato. Ob torto collo, infatti, Azione e Italia Viva avevano siglato un patto elettorale nella prospettiva di costruire un partito unico insieme all’inutilmente vasta galassia liberale (o pseudo tale). Il 7,7% non è stato un brutto risultato, ma l’analisi del voto è stata ridicola.

lande desolate più che territori

Il radicamento locale per una coalizione imperniata sul voto di opinione è una sfida difficile, basti pensare al M5S. Il Terzo Polo non ci ha nemmeno provato. Tra volti calati dall’alto e loghi inguardabili col nome di Calenda gigantesco, è mancata qualunque traccia di strategia. Anche perché l’unione dei gruppi territoriali è stata una mezza farsa, si è proceduto solo dove le basi erano già d’accordo. Il caso Moratti è stato emblematico: una scelta discutibile, ma che poteva restituire un ottimo risultato, è stata gestita nel peggiore dei modi.

L’atteggiamento davanti alle sconfitte è stato di due tipi: “gli elettori non ci hanno capito” e “le elezioni locali sono difficili per una proposta terza”. La prima considerazione è così sciocca che si commenta da sola, la seconda era una spia che, incredibilmente, non ha fatto scattare alcun allarme.

Per essere competitivi non basta creare un logo, bruttino per giunta, e avere buone, ma non eccezionali, idee. Bisogna lavorare per anni. Ma con le persone, non su Twitter e in tv. O quantomeno non solo. Bisogna mettere asticelle commisurate alle reali possibilità della coalizione. Era folle pensare di fare più del 4%, ora come ora. Il senso delle candidature perdenti in partenza ma contrapposte a destra e sinistra poteva esserci nel momento in cui l’obiettivo fosse stato costruire una classe dirigente per il futuro. Ma allora non era meglio puntare su volti nuovi, anziché riciclare politici, seppur bravi, provenienti da Forza Italia e PD?

La non prospettiva che non ha senso

Ma il Terzo Polo era un progetto di breve, medio o lungo periodo? Nessuno lo ha mai detto. Ora, si pensi a un’azienda che vuole raggiungere 1 milione di euro di utile: se l’obiettivo è a un anno è un conto, se è a dieci anni un altro.

Altra questione dirimente e mai risolta: qual era il target elettorale? Tra i centristi, solo Più Europa ha scelto un target preciso, così preciso da essere irrilevante. Tutti gli altri si comportano come un partito pigliatutto, finendo per scontentare metà dei militanti e dei potenziali elettori.

Le strategie politiche sono inevitabilmente vincolate anche a questi aspetti che sono tutto fuorché un dettaglio.

L’identità non la sa nemmeno sua maestà

Liberali, democratici, repubblicani, riformisti, socialisti, popolari. Queste sarebbero state le famiglie politiche da rappresentare secondo fiotti di tweet più o meno elettorali. Se da un lato è sempre stato auspicato che non si trattasse di una esperienza esclusiva, va anche detto che l’opzione minestrone non ha certo giovato. Anche perché tutto è sempre stato detto in nome della serietà, del pragmatismo e del buon governo.

Il rapporto con l’identità è una questione centrale del periodo storico in cui viviamo, farlo da una prospettiva liberale, cultura politica che non ha mai attecchito in Italia, è ancora più difficile. Ma da un’area politica che professa competenza e profondità di pensiero sarebbe legittimo aspettarselo.

La fetta di elettori disposti a votare in nome del pragmatismo è esigua, l’elettorato potenziale di questo fantomatico centro non è sensibile alle liste della spesa di cui sopra. Eppure, l’elaborazione culturale è stata a dir poco scarsa. Tutto mentre, non dimentichiamolo, non si verificava certo la moria di associazioni, fondazioni e intellettuali battitori liberi che animano il sotto mondo centrista. Alcuni applaudivano anche solo la loro esistenza, altri attaccavano oltre la ragionevolezza. D’altronde, basti pensare al fatto che sono serviti 3 anni ai partiti in questione di uscire dall’ambiguità sull’essere “di destra, di centro o di sinistra”.

comunicazione amatoriale & politica Netflix

La comunicazione amatoriale di Calenda sui social, che ha dettato la linea così alla faccia dei congressi di Azione celebrati solo per sancire plebisciti, è sempre stato un tallone d’Achille. Ma la degenerazione degli ultimi giorni prima della rottura dell’alleanza è stata clamorosa, aggravata dal silenzio assenso dei volti pubblici di Azione.

Attacca sondaggisti e retroscenisti se gli conviene, li asseconda se è utile. Attacca sul personale con toni spropositati e inadeguati. Rende pubblici i dettagli di trattative riservate, talvolta senza metterci la faccia, e, ciliegina sulla torta, sceglie Striscia la Notizia per dichiarare la fine del Terzo Polo. Nel frattempo, le truppe cammellate social di Italia Viva, classe dirigente inclusa, hanno continuato a fare ciò che hanno sempre fatto: alzare i toni per difendere Renzi, anche oltre il dovuto.

Tutto sbagliato.

più frammentati di così si muore, letteralmente

Ha poco senso mettersi a discutere sui singoli punti di disaccordo. Nessuna questione burocratica può vincere sulla volontà politica, che evidentemente è mancata ad entrambi così come la mancanza di visione.

Adesso, oggettivamente, al centro c’è il vuoto. Calenda ha litigato con tutti, Renzi lo odiavano già da prima. Bonino, dopo aver fatto da portatrice d’acqua alla sinistra ora a guida woke grazie a Elly Schlein, si è limitata a dichiarare “lui è fatto così”, riferendosi ad entrambi (e ricevendo l’approvazione di Letta): è ai ferri corti con entrambi. Va detto, infatti, che in questi anni Più Europa ha celebrato tre congressi, due dei quali sono stati delle farse. Le sorti e le posizioni di altre personalità più o meno in vista sono simili, non solo tra i progressisti.

Anziché sfruttare l’imminente disgregazione di Forza Italia, la presenza di un governo sovranista, lo spostamento a sinistra del PD, la coagulazione di tante sigle liberali in LDE (incredibilmente muti durante il disfacimento del Terzo Polo) e l’entusiasmo raccolto dai giovani di Generazione Costituente, l’unica prospettiva è continuare a difendere i feudi personali come se fossero fortezze strategiche. Sono uniti solo dalla paura che qualcun altro possa fare il leader. La dimostrazione è anche nei congressi plebiscitari di Azione, ma anche in quelli di tutti gli altri.

la classe dirigente liberale che non c’è

Non hanno capito, nel Terzo Polo come negli altri partiti centristi che siano più progressisti o conservatori, che gli elettori non li sostengono perché sono ciò che sono, ma nonostante ciò che sono. Parliamo di un’area politica in cui l’elettorato è enormemente più maturo della classe dirigente. Parliamo di uno spazio politico dove le praterie non ci sono, ma il 15% si può raggiungere. Ma, allo stesso tempo, è impossibile non notare l’assenza di figure minimamente in grado di esercitare la propria leadership in modo efficace.

Tuttavia, le imprese difficili chiedono eserciti preparati e leader carismatici, tutto questo manca. Ci sono sicuramente persone per bene e di buona volontà, così come ci sono politici preparati. Ma troppo poco o, quantomeno, troppo poco decisivi nello stabilire le sorti. L’impressione da armata Brancaleone di queste ore ha fatto venir meno anche lo stucchevole mito della serietà.

Un futuro incerto, forse inesistente

Qualunque cosa accadrà ora, ci sono solo macerie e non ci sono più tante persone che erano pronte a mettersi in gioco. Chissà se qualcuno ci proverà, oppure, se l’eredità sarà infausta come quella di Fare per Fermare il Declino e Scelta Civica.

Ancora una volta siamo di fronte alla dimostrazione che propugnare idee condivisibili e saper fare politica sono questioni slegate al 100%. Nella presunta area liberale questo fatto è ampiamente sottovalutato tanto dalla classe dirigente quanto dai militanti, tutti convinti che la propria superiorità basti a vincere le elezioni.

Dopo le prossime elezioni, qualsiasi esse siano, riproporranno pensose riflessioni sull’astensionismo e pretenderanno di essere presi sul serio. Così come continueranno a prendere in giro il claim elettorale “Pronti” con cui Giorgia Meloni ha portato FDI al 30% nonché al governo del Paese. Continueranno a restare al 2% e, visto che una gran parte di loro appartiene a Renew Europe, dovranno allearsi per forza e il teatrino ricomincerà. L’eterno ritorno del liberale, inadatto e sempre uguale.

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