Ehimetalor Akhere Unuabona/Unsplash

DISCOVERY – IL LAMPO DI GENIO DEI DAFT PUNK

26 Febbraio 2021

Quattro giorni fa, i Daft Punk hanno annunciato a sorpresa la loro separazione dopo ventotto anni di carriera. La notizia, rimbalzata immediatamente ovunque, è stata confermata dal duo francese tramite un video – uno spezzone del film “Daft Punk’s Electroma” – dal titolo piuttosto eloquente: “Epilogue”.

Quando ho appreso la notizia, onestamente, credevo si trattasse di uno scherzo. Mi rifiutavo di dare corda a (quasi) ogni testata giornalistica che riportasse la news. Sfortunatamente, “Epilogue” ha cancellato le mie speranza: era davvero la fine. I Daft Punk hanno inequivocabilmente segnato la scena musicale degli ultimi vent’anni, regalando al pubblico alcuni dischi divenuti presto autentiche icone. Mi sembrava giusto, perciò, spendere due parole sul perché i Daft Punk sono stati una (anzi, due) delle figure più importanti del nuovo millennio, e lo farò prendendo in esame uno dei loro lavori più amati: Discovery, che proprio oggi celebra il suo ventesimo compleanno. Ma partiamo dall’inizio.

Epilogue“, il video con cui i Daft Punk hanno annunciato la loro separazione.

Ripensandoci, il mio primo incontro con la musica del duo francese non fu molto positivo. Era l’estate del 2013, avevo appena finito le medie e spendevo buona parte delle giornate alle piscine poco distanti da casa, luogo a cui associo la stragrande maggioranza dei miei ricordi riguardo alle hit estive, che infestavano (e infestano) quel luogo. Random Access Memories era uscito da poco, e “Get Lucky” aleggiava perpetuamente su ogni stazione radio. Dopo non troppo tempo, al pari di altri tormentoni quali “Blurred Lines” (sempre sia maledetta), iniziò a darmi il voltastomaco.

Circa due anni fa, finito il primo anno di Università, maturai la decisione di approfondire la loro discografia. Partii da Discovery, incuriosito dal suo status leggendario e rassicurato dalla presenza di due brani, “One More Time” e “Harder, Better, Faster, Stronger“, per cui andavo matto. La prima volta rimasi estasiato, abbagliato, ipnotizzato da quello spaziale agglomerato di brani (french) house. Rimembro benissimo la forza con cui venni travolto dalla dirompente chitarra di “Aerodynamic“, dal ritmo sconquassante di “Superheroes” e dal viaggio allucinante di “Voyager“. Onestamente, pochi album hanno saputo smuovermi e coinvolgermi nell’ascolto come Discovery.

Una performance dal vivo dei Daft Punk, inserita poi nel live album Alive 2007.

Durante le sessioni di ascolto seguenti, necessarie per la completa “digestione” del disco, mi posi alcune questioni: cosa rendeva Discovery un capolavoro? E per quale motivo i Daft Punk erano considerati pressoché unanimemente delle icone visionarie?
Iniziai a ragionare partendo da ciò che più mi colpì alla first listen: l’estetica. La spensieratezza, l’amore, la dolcezza dei ricordi; temi umanissimi decantati da voci robotiche, artefatte, provenienti da due pseudo-androidi col volto coperto da caschi oro e argento. Persino l’anno di uscita, il 2001, contribuisce a incorniciare l’universo Discovery in una dimensione in cui il tanto desiderato e misterioso futuro sembra essersi congiunto nel presente.

C’era qualcos’altro, però, che mi sfuggiva. Decisi quindi, aiutato dal World Wide Web, di intraprendere un’indagine sulla struttura delle singole canzoni. La ricerca schiarì i dubbi rimanenti, e realizzai finalmente il perché del grande, grandissimo successo di Discovery.
I brani dell’album sono impregnati di sonorità synth pop, dance, R&B e funk, provenienti dai campioni oculatamente utilizzati dai DJ transalpini. Il risultato, perciò, è una sorta di “crocevia temporale“, in cui elementi dell’allora recente passato (si parla di anni ’70 e ’80) vengono rielaborati in chiave più moderna, mantenendo però un’identità ben riconoscibili. La genialità di Discovery risiede nella duplice natura delle tracce, che riescono sia a risvegliare il lato più nostalgico dell’ascoltatore, cui trova una base sicura in quelle componenti a lui più care, sia a promuovere una nuova idea di pop, inclinato verso l’elettronica.

Tutti i campioni utilizzati dai Daft Punk in Discovery.

Non a caso, Discovery fu acclamato da critica e pubblico, e marcò un segno indelebile nella storia della musica pop. I Daft Punk, al contempo, svoltarono la carriera e, attorniati dall’alone di mistero che contraddistingueva la loro identità, si diressero verso scenari più ambiziosi e sperimentali.

Una volta compreso appieno il valore universale di Discovery, la mia visione sui Daft Punk cambiò dal giorno alla notte. Il loro immaginario calamitò fortemente la mia attenzione, “costringendomi” a perseguire l’ascolto della discografia. Recuperai, perciò, i restanti lavori, da Human After All a Random Access Memories, lasciando per ultimo l’esordio Homework. Per quanto tutti di ottima fattura (specie R.A.M.), sostengo che nessuno abbia raggiunto il livello della loro seconda opera.

Ora che la storia (quasi) trentennale dei due cyborg è giunta al termine, non resta che la loro immensa eredità, a cui, fortunatamente, chiunque può attingere. Sfortunatamente, ora non avrò mai occasione di vederli dal vivo. Poco male. Posso dire di ritenermi sinceramente fortunato ad aver vissuto nella stessa epoca dei Daft Punk.

Get Lucky“, uno dei singoli dell’ultimo album Random Access Memories.

LASCIA UN COMMENTO

Your email address will not be published.