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PERCHÉ SONO UN SOCIALISTA E UN LIBERALE

12 Febbraio 2021

“Friends and foes and princes

Are all just human in the end

This is so damn simple yeah

It’s so damn simple”

Snow Patrol-Empress

Ho votato Più Europa alle elezioni europee del 2019. Alle elezioni politiche del 2018 mi sono astenuto, senza vergogna, ritenendo che nessun partito mi rappresentasse: per svolgere comunque il mio dovere civico, quel giorno mi recai in libreria per acquistare un libro. Prima di poter votare, nel 2013, feci campagna elettorale per le primarie del Partito Democratico sostenendo Civati. E, se si dovesse andare a votare a breve, voterei con il naso tappato Partito Democratico.
Non ho mai trovato un partito che rappresentasse in tutto e per tutto la mia visione politica. Soprattutto in un paese in cui spesso la politica, più che interessarsi al futuro, rivolge lo sguardo al passato: un fenomeno particolarmente frequente nell’area a cui appartengo, la sinistra, che si lancia in futili dibattiti circa l’eredità di questo o quel personaggio.
Se dovessi descrivermi, userei due termini: sono un liberale e sono un socialista. Non un socialista liberale. Né un liberalsocialista.

Mi ritengo un liberale nella misura in cui sostengo, fortemente, lo Stato Liberale Democratico che è stato costruito dopo la II guerra mondiale, fatto di pesi e contrappesi, di volontà popolare e di istituzioni indipendenti come la Corte Costituzionale. Ma anche perché non credo che il libero mercato, inteso come sistema regolato dallo Stato, sia un male assoluto come qualcuno a volte sembra sostenere. Non credo nell’economia pianificata di stampo sovietico e nemmeno in un’economia di pura sussistenza per risolvere i problemi che dovremo fronteggiare non appena questa pandemia sarà solo un ricordo.
Allo stesso tempo però mi definisco socialista. Non, come detto sopra, un socialista sovietico. Usando una terminologia vetusta, appartengo ai cosiddetti socialisti revisionisti. Penso che non ci si possa concepire come particelle libere, ma come comunità. Ritengo l’uguaglianza, in tutte le sue forme, un valore. Allo stesso tempo ritengo l’intervento dello Stato nell’economia essenziale allo sviluppo di una società che vuole prosperare.
Da attivista e cittadino, ma anche da persona che mette a disposizione dell’economia e delle scienze sociali gli strumenti della matematica più avanzata come Equazioni Differenziali alle Derivate Parziali o Sistemi Complessi, il mio scopo è quello della prosperità inclusiva, come sostenuto dagli economisti dell’Economics For Inclusive Prosperity.

In questi anni, tuttavia, il dibattito economico e politico è stato influenzato da un’ideologia perniciosa e superficiale che qualcuno chiama Neoliberismo, ma che a me piace chiamare Realismo Capitalista.
Nonostante il Neoliberismo abbia attecchito nel continente europeo in maniera lieve, soprattutto nella sua forma più teutonica denominata Ordoliberismo, la sua influenza dal punto di vista ideologico è stata ubiqua. Si è infatti andato sempre di più verso una visione economicista della realtà. Per fare un esempio pratico: durante i mesi più bui di quel maledetto anno che speriamo di lasciarci alle spalle, il 2020, mentre gli stati occidentali cercavano di contenere la diffusione del virus che mieteva vittime in lungo e in largo lasciando famiglie, città e comunità non distrutte ma annientate, uno sparuto manipolo di intellettuali afferenti all’area neoliberista ha messo in discussione non tanto l’efficacia quanto la convenienza delle misure di restrizione. Se infatti affidassimo alla vita umana un prezzo- non un valore, sia chiaro, proprio un prezzo- quante vite umane dovremmo salvare per giustificare le chiusure delle attività economiche?

Anche io ho sollevato nel tempo delle perplessità soprattutto circa provvedimenti al limite della caccia alle streghe come la crociata contro i runner, ma la mia critica non partiva da assunti economici, quanto umani. Nonostante lo si continui a negare, il problema del contenimento della pandemia si interseca con una dimensione sociale dell’uomo che era già chiara ad Aristotele. Posto che l’obiettivo primario deve essere quello di salvare vite, vi sono delle concessioni che possono essere fatte per ridurre l’impatto sulla salute mentale delle misure di confinamento? Ad esempio permettendo, come si è fatto nella Seconda Fase, di poter raggiungere il proprio partner o una persona amata, nel senso lato del termine. Queste inezie, così piccole davanti al dramma della pandemia, sono tuttavia indispensabili per un essere umano.
Cosa distingue le critiche svolte dagli intellettuali di area neoliberista da quelle svolte da me e altri? Mentre le prime riducono l’essere umano a un agente economico, le seconde cercano, nella loro piccolezza, di restituire una dimensione più alta e nobile.

Il Neoliberismo, o comunque vogliate chiamarlo, ha ridotto l’essere umano in carne e ossa all’Homo Oeconomicus.
Questa deriva perniciosa deve essere combattuta. E spero che questa tragedia in cui ci ritroviamo a vivere riporti il tema al centro del dibattito. Prima di essere consumatori, lavoratori, imprenditori siamo esseri umani. Siamo carne, sangue, merda, neuroni e secrezioni da stimolazione. Abbiamo debolezze, emozioni, paure. E senza questo ritorno non solo dell’essere umano, ma anche degli animali e della Natura, al centro del dibattito il rischio è una società in cui il benessere e la sostenibilità sono sacrificati sull’altare dei parametri economici.

Ma la visione politica che ho fin qui esposto non può e non deve essere anti-economica. Il neoliberismo-un insieme di idee alquanto superficiali, una spruzzata di dati spesso mal interpretati, idee filosofiche deboli come il terreno in pianura durante un maggio uggioso-si è imposto erroneamente come scienza economica. Qualcuno è arrivato a sostenere che l’economia, al pari della matematica, sarebbe una scienza dura. Da persona che ha passato gli ultimi anni della sua vita in un mondo fatto di equazioni, teoremi, varietà PL, problemi malcondizionati e questioni di unicità ed esistenza non posso che trovare questa posizione, scuserete il termine, ridicola. La matematica, senza addentrarci in questioni filosofiche, è quella scienza che da particolari premesse giunge a determinate conclusioni seguendo un set di regole e leggi che riteniamo universali. Alla domanda “quanto fa 1+1?” un matematico saggio dovrebbe rispondere “dipende”: in algebra booleana fa una cosa, in algebra tropicale un’altra, in R fa effettivamente due.
Una visione siffatta dell’economia, ridotta a mera tecnica, è funzionale proprio alla riduzione dell’essere umano a Homo Oeconomicus di cui parlavo prima. Elevandosi a scienza dura e noncurante della realtà su cui operava, il Neoliberismo ha costruito il suo alibi perfetto.

La nostra epoca, giustamente, sta rivalutando questa egemonia del neoliberismo: dopo la crisi del 2008 e ancora di più dopo quella causata dalla diffusione del virus, la scienza economica è entrata in una fase di rivoluzione. I dogmi che avevano guidato economisti e policy maker da essi consigliati stanno cadendo, come dimostrano le posizioni sull’austerità espressi dall’IMF.
Questa confusione economica deve portate a un’attenta discussione non solo dei mezzi, ma anche dei fini. Non soltanto ridiscutendo il ruolo dello Stato nell’economia, ridotto a spettatore esterno, ma anche cosa vogliamo raggiungere come società. Abbiamo fin troppo spesso concentrato la nostra attenzione sulla crescita economica, senza comprendere che la crescita è, per usare un linguaggio a me caro, una condizione necessaria ma non sufficiente per la prosperità. Da qui, come detto all’inizio, deriva il mio sostegno a una prosperità inclusiva.

Una volta conclusa questa pandemia, ci ritroveremo davanti una società distrutta. Non solo per i morti che piangeremo e che ritroveremo soltanto nelle profondità del nostro cuore, ma anche per una crisi economica che si prospetta profonda e per le conseguenze psicologiche di questa situazione: abbiamo messo in pausa la nostra vita, cambiato abitudini, cercato di sopravvivere per non soccombere. Ma questo stop forzato ha avuto delle ricadute: persone che amiamo diventano estranei, amici che si allontano, momenti necessari di sfogo che vengono soppressi nello sforzo necessario di contenere questo mostro. Al di là della facile retorica sulla disciplina e sulla responsabilità, queste cicatrici resteranno aperte ancora per molto sotto i vestiti che indossiamo per nasconderle.
Non solo: quella spensieratezza che tanto speriamo di riacquistare in questo momento mentre l’ora è buia non durerà a lungo. Come umanità, ci troveremo davanti un mostro ancora più temibile, che rischia di annientare irreversibilmente la vita umana sul pianeta terra: il cambiamento climatico. Gli eventi atmosferici estremi che oggi vediamo solo in parti remote del mondo, che ci sembrano così distanti dalla realtà di tutti i giorni, saranno presto una realtà tangibile con cui ci toccherà fare i conti.

Aggiungiamo altra carne al fuoco: la povertà e le disparità tra paesi e all’interno dei paesi, spesso ignorate dai neoliberisti, porteranno a migrazioni più intense dovute allo sfruttamento estrattivo e a un clima politico incandescente che sarà terreno fertile per i populismi; le differenze tra i sessi che rendono la vita di così tante donne e, lasciatemelo aggiungere, tanti uomini un inferno, costretti a vivere nella menzogna degli attributi culturali che scambiamo per naturali, ad accontentarsi di lavori confacenti al proprio sesso; l’accettazione del diverso con cui sempre più spesso ci troviamo a combattere; ma soprattutto l’impianto dei valori annientati da anni di relativismo morale che non ha funzionato, come voleva Nietzsche, da costruttore ma solo da distruttore, su cui basiamo le nostre vita di esseri umani, amici, amanti, genitori, figli.
Per fronteggiare questo futuro, la strada da seguire è proprio quella del liberalismo e del socialismo. Le nostre società devono tornare ad essere inclusive per tutti così come il nostro modello economico, cercando di comprendere le difficoltà che gli esseri umani affrontano, ascoltandoci l’un l’altro.

Non possiamo sperare che senza istituzioni inclusive e uno Stato che indirizza la crescita si possa raggiungere quella prosperità che riteniamo essenziale. Portare avanti chi è nato indietro, permettendo di realizzarsi in un ambiente aperto e rispettoso, dotato di strumenti che proteggono non solo la proprietà privata, ma anche la sfera privata dell’individuo. Che permettano a chi vuole arricchirsi di arricchirsi, garantendo però standard di vita soddisfacenti anche al resto della società. Che permettano a chi vuole amare di farlo, a chi vuole essere prima lavoratrice e poi madre di esserlo, a chi soffre di essere accettato e aiutato.

L’intersezione tra il socialismo e il liberalismo, quindi, deve essere l’essere umano. Rimettere al centro la persona umana, nel suo rapporto non più dialettico con la natura, con tutti i suoi difetti, le sue paure, le sue incertezze, i suoi obiettivi, i suoi sogni.
Questa, almeno per me, è la strada che porta fuori dalle tenebre che stiamo vivendo.

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