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MICHELE SALVEMINI E IL SUO PEZZO DA MUSEO

11 Settembre 2020

E’ un capolavoro totale. Lo era nel 2014 e lo resta tutt’ora. Dico, l’album. Anche tutto quello di cui narra eh, per non parlare dei quadri che accompagnano i pezzi, e che fungono da fonte di ispirazione. Ma qui si parla di musica, e di contenuto. E’ la definitiva consacrazione di Capa a poeta intellettuale introspettivo. Una “matrioska” di diverse arti è questo disco. Un continuo solletico ai sensi. Una gemma del panorama dello stivale, e una critica puntuale a questa nostra Italia, museo degli orrori. Michele Salvemini e il suo pezzo da museo.

Museica è il mio museo, la mia musica, il mio album numero 6. È stato registrato a Molfetta e mixato a Los Angeles dal pluri-blasonato Chris Lord-Alge. Essendo io sia l’autore che il produttore artistico, lo considero come un nuovo “primo” disco. È un album ispirato al mondo dell’arte, l’audioguida delle mie visioni messe in mostra. Ogni brano di Museica prende spunto da un’opera pittorica che diventa pretesto per sviluppare un concetto. Non esiste dunque una traccia che possa rappresentare l’intero disco, perché non esiste un quadro che possa rappresentare l’intera galleria. In pratica questo album, più che ascoltato, va visitato.”

Caparezza

Perdonate se mi intrometto. Il docente titolare è assente, è solo una situazione temporanea.

Andiamo per sommi capi.

CANZONE ALL’ENTRATA

In coda si chiedono cosa architetti di strano. Perchè una creatura di Salvemini non parla mai il solito banale italiano di circostanza. Subito il piglio ironico, quasi sussurrato nell’orecchio, nel mezzo del brusio della vita moderna. Il controllore e l’infiltrato. Questo è l’album che non vedi l’ora di sentire. Soprattutto tu che non vedi l’ora di dissentire. E’ per questo che siamo qui Michè, facci sognare. Entriamo al museo.

AVRAI RAGIONE TU

Rabbia rabbia rabbia. Folle rivoltose, masse in movimento. Prime considerazioni politicamente schierate. Mai chiedere scusa, mostra debolezza. Interessantissimo il “ritratto” tra parentesi nel titolo.

MICA VAN GOGH

Saliamo di giri, di livello di citazioni, di qualità della scrittura, di testo e base. Sono davvero sempre gli altri il problema? Forse potremmo essere noi? Lui, a diciott’anni al Louvre, o Noi, che spacchiamo tutto quando fan gol? Chi è diverso da chi? Essere diversi è un problema? Vincent non approverebbe la diatriba. Avrà pietà di te, perché tu sei pazzo.

NON ME LO POSSO PERMETTERE

Che società grottesca. Che cos’è il lusso? Che cos’è il tempo? Cosa importa davvero? Era meglio la Roma dei sette Re, di un futuro che fa bubu sèttete.

FIGLI D’ARTE

Ah, il peso dei cognomi. Come trasformarsi in un Dio possa diventare una condanna per chi ti sta attorno. Consumare, mangiare l’esistenza del prossimo, ridurla ad avanzi.

E’ pieno di vita sul palco e diventa uno zombie quando entra in casa!
Quell’uomo non sa cosa vuole, mi mette alla luce ma poi si spara!

E l’ingeneroso confronto, in caso le strade fossero le stesse. La componente di disagio sociale di Museica comincia ad emergere in modo preponderante. Azzeccatissimi i cambi d’armonia tra le strofe. Pazzesca in particolare la progressione cromatica nel pre-ritornello. Capa riesce a montare la tensione anche dal punto di vista grafico.

GIOTTO BEAT

Giochi di prospettiva, artistica e politica.

COVER

Il primo estratto dell’album, e c’è un motivo. Qui si fa la storia. Della musica, dell’arte, della religione, del cinema. Immagino l’inizio di “2001: Odissea nello Spazio” con questa balorda come sottofondo (non me ne vogliano Richard Strauss e Stanley Kubrick). Calzerebbe.

CHINA TOWN

Una ballata. Michele e Capa dialogano su una pista velata di nero. Rendere omaggio alla bellezza della parola non è facile, tantomeno per mezzo della parola stessa.

CANZONE A META’

Questa, a livello personale, mi ha sempre colpito molto. E mi fa impazzire che non smetta di farlo ad ogni nuovo ascolto. Ma mi fa sempre ben sperare. Anche in un progetto lasciato a metà può esistere l’eterno.

ARGENTI VIVE

700 anni fa moriva IL Poeta. Buon anniversario così.

FAI DA TELA

Emicrania. Alcolismo. Paranoia. Eppure arte. Uno sballo come non si era mai visto prima. Faida. Fai da te. E lascia che ti dipingano. Quanto non siamo capaci di essere noi stessi, è scritto in questo testo. Lasciamo la nostra forma nelle mani di scultori esterni, lasciamo scrivere i nostri testi ad autori fantasma qualunque, senza stralci di nostre opinioni. Siamo corpi di San Sebastiano, in balia delle frecce. Siamo davvero noi? Forse ci vorrebbe uno squarcio alla Lucio Fontana. Porre fine per reincominciare.

Per ultima, la prima cosa. La copertina dell’album. Di Domenico dall’Osso, realizzata appositamente per stare lì dove sta, in quanto opera. Una fauna rigogliosa, un’abbondanza di specie diverse, un’arte che si nasconde dovunque nel mondo. Un’arte che si nota però, forse, soprattutto nell’immaginazione dei due “pensanti” sulle rupi ai lati della gola, che banalmente potrebbero rappresentare chiunque voglia osservare con un po’ di attenzione. Un’arte che pensiamo di guardare per conto nostro, quando invece è lei che guarda dentro noi (grande occhio sullo sfondo, beccato…).

E’ stato il primo album del figlio della Puglia a raggiungere la vetta delle classifiche di vendita in Italia. Non è un caso. Credete al supplente.

Come direbbe Enrico Papi: “Maestro, Museeeica!”

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